giovedì 26 dicembre 2019

LAB


?  - NO -  ?

Eccola, la Nebbia.
Quella di Jean-Paul somiglia proprio al Labirinto buio. Tanto ricorrente da esser degna di aggettivi che ne anticipano la densità appiccicosa, è forse la forma più naturale di un medesimo insieme di suggestioni avvinghiate allo spirito.
Il Labirinto buio è compiacente, intriso di quell’oscurità che fa gelare dal freddo lunghissimi percorsi di silenzio ma non è quel silenzio ovattato, melenso e a tratti ronzante della Nebbia.
Ricorda piuttosto quel lontano confidente mentre tutto tace dei Diapsalmata di Soren.
Tra tutti i simboli possibili io scelgo la seguente icona: Aaron non-morto, rannicchiato nell’angolo piegato male della sua cella scura in posizione fetale, la sua coscienza sveglia senza essere vigile oppressa nel silenzio. Eccolo, il Labirinto!
🐮



2325 - A


NIENTE DI NUOVO

Questa sera mi è tornato in mente un fatto a cui ho pensato per diversi minuti di seguito.
Un vecchio regalo per una vecchia amica di un’amica.
Ho sorpreso me stesso così senza ragione a riflettere attentamente su quali pensieri mi avessero spinto a un gesto tanto futile quanto patetico.
Sono stato un idiota.
Autentico, confuso, demotivato.
Lezione imparata: NON FARLO PIU’!
Peggio per me, per voi, per loro. Tutto torna, anche le circostanze non più avverse legate a esperienze dolorose. Evitare l’azione riduce il senso dell’errore.
La vera vita non è. Persone importanti si toccano tra loro senza osservarsi mentre la falsa vita non influenza il mondo al pari dell’osservatore. E’ permesso dunque il Grande Disinteresse per mezzo del quale nessuno guadagna. Non rimettiamo i nostri peccati.
Non prendo nulla. Non do nulla. Chi si rende inutile trova inutili tutti gli altri, con l’eccezione della presenza assente racchiusa nel nome, l’immagine, la frase. Sentimenti su carta senza rima.
Accogliamo la telepresenza come amicizia convenzionale assurta a conclusione inevitabile  come via di fuga. Non è detto che dispiaccia alla Prigione.
Spregevole. Orribile. Peggiore. Viva.

1351 - B


B

“Intimità”.
Una parola tremenda.
La peggior realtà da provare in questo momento se travestita da racconto.
Mi chiedo come sia possibile ritrovare in un semplice brano così tanti rimandi a fatti coincidenti.
Dovremmo lasciar perdere le bizzarrie? Procurano troppe scosse.
No.
Continuiamo così. L’appiattimento progressivo della società ha dell’incredibile.

lunedì 9 dicembre 2019

CRITICHE - 1 - Terribile


TERRIBILE

Mi chiedo come certa critica benpensante abbia potuto stroncare opere minori intrise di caldo orrore metropolitano con poche righe frettolose.
 “Il Muro” è ua raccolta terribile. TERRIBILE!
Se uno qualsiasi dei racconti venisse inserito di sotterfugio in un’antologia horror come ad esempio “Scheletri” pochi noterebbero la differenza, quasi di sicuro a causa delle differenze di stile e di stesura che peraltro nella traduzione italiana si perderebbero per la maggior parte.
E’ grave. Forse nel 1939 certi concetti potevano venire apprezzati come novità ma è più probabile che un autore affermato nonché eccelso filosofo e drammaturgo potesse ottenere successo immediato e indiscutibile mentre un bestseller senza titolo vedrà sempre stroncate dalla critica maggiore tutte le pagine che vende.
C’è un aspetto BRUTALE in questa faccenda: il metro di giudizio parziale ivi impiegato sarebbe persino uno dei motivi di misantropia intrinseca descritti benissimo ne “Il Muro”.
Altra benzina sul fuoco. Non sempre il successo di pubblico donerà l’immortalità, ma con ciò?


 Anche “Intimità” è terribile.
La peggior realtà riscontrabile in momenti come questo ma trasfigurata sotto forma di parole in un racconto scorrevole.
Come sarà mai possibile ritrovare in un solo brano così tante coincidenze? Ancora più terribile.
Ma lasciamo stare certe illazioni bizzarre. Scosse psicologiche che ci fanno continuare così nonostante tutto il fango che aleggia intorno all'Intellighentia. L’appiattimento narrativo è progressivo e ha dell’incredibile se messo in relazione all’intera società occidentale post dopoguerra osservata a posteriori.
Ecco, se non leggiamo abbastanza J.P. Sartre non abbiamo una visione chiara ma troppi dettagli stipati alla rinfusa sui giornali. E’ Terribile. Terribile.

martedì 19 novembre 2019

PEGGIO


79603 - PEGGIO

Questa mattina sono stato di sopra per sostenere una volta di più le mie prove di idoneità. 
Gli esaminatori per l’ennesima volta mi hanno respinto .
 Inadatto al programma di potenziamento, dicono.
Gli esami parlano chiaro, a detta loro.
Ho trovato il responso stampato sul solito cartoncino azzurro appoggiato sulla branda al mio ritorno dal livello sei. Quel laconico messaggio pre-stampato stavolta mi ha dato da pensare. Non ci capisco nulla. Altri meno adatti sono già stati scelti. Perché io no?
Sono forse troppo presuntuoso ma stavolta sarà peggio. Idee feroci mi balenano in mente dopo le iniezioni. L’ultima crisi è stata breve, forte e intensa. La goffaggine che ne segue invece dura a lungo. E’ questo il valore dell’inferiorità, dell’inidoneità? Si misura forse dai tempi di ripresa più o meno lunghi?
I test attitudinali si ripetevano uno dopo l’altro senza una logica apparente.
Prove, domande, prove, domande.
Alleviare la tensione. Aumentare la pressione.
Meno di cento parole sono state pronunciate e nonostante la rapidità del test al termine del mio turno avevo l’affanno.
Poi sono stato accompagnato fuori dalla sala blu mentre quei volti imperturbabili mi ignoravano. Una donna e tre uomini.
L’angoscia provata, la violenza immaginata sono cresciute di lì a poco: i ricordi che svaniscono uno dopo l’altro mentre la mente ne ritocca le immagini rendendole ridondanti. Un caleidoscopio roteante di fatti e avvenimenti trascorsi, visi sconosciuti, suoni indistinti. Il cuore batte all’impazzata mentre giaccio rannicchiato nell’angolo più in penombra della camera di decompressione sensoriale dove tremo con le braccia strette intorno alle ginocchia piantate sugli occhi. Prego e aspetto con le mascelle serrate; le mani gelide contratte all’inverosimile; le nocche sbiancano fino a che lo stomaco, finalmente, smette di contorcersi e contrarsi.
Arriva il pianto, lucido e caldo. Pensavo che avrei resistito almeno stavolta e invece ho pianto a lungo senza ritegno. Versare lacrime brucianti di sostanze chimiche è doloroso e folle però aiuta a espellere in minor tempo la soluzione iniettata. Intanto il turbinio di volti è aumentato: tutte le persone che ho conosciuto mi scorrono davanti più volte, gli occhi straziati e gonfi come i miei, pronti a vomitare odio mentre verso nuove stille intrise di sale e di sangue. La tempesta biochimica una volta cominciata non si sarebbe placata tanto presto. Ma ho atteso e atteso finché alla fine non è giunto il freddo, inaugurato dalla pelle d’oca.
 Gli occhi sono ancora indolenziti, ma almeno qui ci sono di nuovo soltanto io. Basta lacrime chimiche, basta sguardi indagatori. Sanno che non mi piacciono se così accusatori e neanche la paura nell’attesa del verdetto e la noia che ne segue. Sono sguardi intuitivi, penetranti e ostinati ma necessari. Sono lì a ricordarmi quanto tempo è passato da che mi trovo qui dentro. Quante prove ho fallito. La camera di prova ha una parete di vetri oscurati dietro la quale ci deve essere qualcuno che ci osserva per decidere se candidarci al miglioramento. Le luci lassù sono sempre accese e fanno bruciare gli occhi. La prossima volta proverò a focalizzarmi sulle superfici riflettenti, anche se va detto che non sopporto gli specchi. Inoltre, i ricordi sbiadiscono e la memoria sussulta: lassù c’è una camera o una stanza?
O peggio: c’è o non c’è?

martedì 12 novembre 2019

E venne il SONNO


- Infinito Interludio -
E venne il Sonno

Questo pomeriggio l’ho incontrata.
Non abbiamo parlato. Non ci siamo salutati. Forse non mi ha nemmeno visto.
Però l’ho incrociata per strada e l’ho guardata per qualche attimo. Il mio spirito di antieroe solitario e rassegnato si è fatto truce. Serata triste garantita.
La vista di costei mi spinge a pensare e quando penso mi guardo attorno, rabbioso verso me stesso per l’inconsistenza che mi avvolge. Il paesaggio intorno è ombroso. E brutto.
Allora lo spirito lamenta un dolore sordo, immerso d’improvviso in lunghe torture mentali fatte di aghi tristi. E’ il tipo di dolore di cui se ne può sopportare una quantità immensa, ma alla fine è sempre la qualità che conta. Addirittura colgo l’impressione di stare per subire reali, fisiche conseguenze: fremiti, brividi, contrazioni e spasmi a denti stretti. Tutto ciò dura molto a lungo.
Non trovo appoggio o riparo. E’ un processo interiore metodico e silenzioso. Nessuno che parli. Nessuno che urli. Eppure i pensieri fuggono per rifugiarsi dietro a un’idea: un colloquio venturo.
C’è anche un ricordo umbratile di qualcosa di là da venire che la fa sembrare anche peggiore.
Sto male quando ci penso. Toccata e infangata quest’idea, si cerca di dimenticarla. La disconosco.
A questo punto però è troppo tardi .

***

Me l’ha chiesto lei, l’unica vera confidente che abbia mai avuto insieme al silenzio della Notte.
Di non abbandonarla. Di non lasciarla mai sola.
Ecco allora che si insinua il dubbio: può una bugia essere a fin di bene? Far sì che mi odii e se ne vada, sentendosi tradita e abbandonata? NON sono io quello?
No.
Non sono K. Non è la mia anima che si realizza in se stessa, trasparente come acqua pura al cospetto di Dio.
Non è affatto l’affetto l’unico esito finale. Unica consolazione per me, ma errore per K. e quelli come lui.
Un folle maestro il cui proclama ci spinge a ucciderci tra noi in nome di forza e volontà.
Non ci credo più. Io credo che toccato il culmine con la punta delle dita non rimanga che una lunghissima discesa da percorrere a ritroso.
Curioso: prima del nome A mi viene chiaro in mente il nome B. Non passa giorno senza che sbiadisca.
Pochi tratti vaghi pennellati di getto e alla rinfusa, sempre meno somatici e sempre più idealizzati: capelli biondi, denti belli, volto pulito, morbide curve.
 Ma gli occhi, quelli no: gelidi, profondi e precisi. Furenti.
Potrebbe essere chiunque, fatta di anonima e diafana bellezza ma quello sguardo punitivo, assente e angelico rimane solo Suo.
Non c’è nulla qui. Niente esiste. Provo a toccarlo, sogno più a fondo.
Nel regno dell’Assurdo le regole non collimano. Stridono come freni di rotaia.
Fino al suono di sirena, dormiamo. Tutti. Anche da svegli, dormiamo.

mercoledì 6 novembre 2019

Quei Momenti Perfetti


79672 – Quei Momenti Perfetti

Nulla di nuovo.
Non posso farci niente.
Noia, tedio e apatia mi assalgono, ma senza angoscia. Senza disperazione.
Ho avuto ragione. Tolte le sollecitazioni esterne tutto si mantiene in stato di quiete.
Tiepida, atarassica quiete: la vuota assenza di dolore e piacere.
L’Arte era il mio rifugio prima della Prigione, ma purtroppo una volta entrati qui dentro ci lasciamo alle spalle tutto il Bello.
Perché?
Mi sono fatto questa domanda tante volte senza mai venirne  a capo. I sentimenti umani qui non esistono più, in mezzo ai detenuti non percepisco nulla. Tristezza, invidia, stupore: non ce ne sono.
Permane l’ostinazione.
Oggi ho ricevuto un biglietto d’auguri senza mittente. Recita:
“Caro osservatore silenzioso, mi sento offeso nel profondo al cospetto di colui che nei momenti perfetti che potevano far ribollire il sangue negava ogni confidenza. Sei l’individuo sbagliato nel posto giusto. Altri verranno dopo di te. Buona fortuna.”
Chi era costui? La data è vecchia di mesi. Un altro straniero nauseato in stato di arresto con il male di vivere? Mi avevano assegnato una cella da poco vuota, forse il destinatario non ero io.
In me regna la palude, fatta di melma anch’essa tiepida e stagnante e vuota. Senza un re travicello a gestirne le estati fredde. Una bruma grigia permea la valle del pensiero. Del vento nero ulula o meglio canta tra le fronde dei salici piangenti. Singhiozza.
Fuori, nel cortile dell’ora d’aria che nessuno chiede o pretende nel prato, quel verso stridente si ripete. Da ancor più fuori sono tornati i pipistrelli neri per nutrire i piccoli con molti insetti morti. Neri loro, nere le grotte, neri gli insetti.
Non è un momento perfetto ma mi piace. C’è quel suono di sirena in luogo del rintocco di campana. Il cielo è cieco, sbarrato dal cemento che la nostra morte ammanta nella notte.
Un rintocco alla volta.
Ma la mia fine è lontana, finchè il silenzio sussurra negli intervalli tra due rintocchi brevi.
E’ un campanile che decide chi da qui se ne va? Per chi suonerà la prossima volta?

domenica 27 ottobre 2019

FILI TAGLIATI


79662

 - Fili Tagliati -

 La memoria tradisce.
Il miracoloso momento dialettico del paradosso continua a sfuggirmi. 
Non ricordo.
Mi sforzo ogni giorno (notte?) di coglierne l’Essenza, senza successo.
Tuttavia, ho compreso il valore assoluto del Silenzio. Eccolo là, il paradosso: avvolto di echi e di silenzi ma solo quando la nausea se ne va.
Sono solo.
Il silenzio tace mentre l’eco ripete. E’ il momento perfetto per un sentimento notturno.
Riuscire a intercettare le intuizioni per poi armonizzarne la natura suggestiva in un quadro definito dalla mia sensibilità sarebbe una base su cui lavorare.
Scrivere, ecco cos’è. Scriverlo prima di morire.
C’era Franz che lo trovava affascinante e angoscioso insieme. 
Così è anche per me.
Qui sotto non possiamo pensare in modo chiaro. C’è qualcosa nel cibo. O nell’acqua.
C’è qualcosa di sbagliato. In quanto prigionieri non abbiamo forse diritti? Gli affetti non sono consentiti, nemmeno astratti. Vengono incoraggiate le dimenticanze e le cancellazioni.
Forse sbaglio ma sento, anzi avverto il Paradosso come il messaggero occulto dell’Assurdo.
Siamo a teatro. Siamo marionette e ci hanno tagliato i fili.
Guardiamoci negli occhi per dirci addio.
“Non possiamo”.
Chi parla? 
Sono solo.
L’amico confidente è il tavolaccio che regge il materasso dove giaccio scomposto senza più forze. Un manichino abbandonato.

martedì 15 ottobre 2019

007


0 79642 - 007

Ho riletto la posta cento volte. Non ce n’era bisogno ma l’ho fatto comunque. 
E’ un furto. Non è la mia, non ne ricevo.
 Questo luogo è fuori posto, fuori dal tempo. Non vediamo altre persone. Non ci sopportiamo tra noi. Non siamo mai soli, così sorvegliati. Eppure lo siamo.
 Assomiglia a una scelta consapevole, questa della solitudine prolungata. La realtà intorno sfuma, si confonde con ricordi non miei attraverso le confidenze scritte a penna da una sconosciuta a un altro detenuto che loro malgrado ora conosco meglio di se stesso.
 Eppure è ancora il letto il mio confidente e il mio compagno di cella. L’oggetto del mio riposo avvolge la preda con le sue corde invisibili fatte di spossatezza e rassegnato torpore.
 L’immediatezza che provavo nell’agire di notte in fuga dagli inseguitori, dai cani e dalle guardie non è che un lontano ricordo, il suo posto nel mio cervello occupato da elucubrazioni sempre più sguscianti. Perché nessuno mi scrive?
 Ho davanti venti anni di vita da recluso e non un volto con il quale colloquiare quando uscirò.
 Il mio vicino di cella prega tutte le notti ma non capisco le parole. E’ un mormorio che non approda a nulla, all’apparenza senza capo né coda. Prova angoscia, si dispera, ha la nausea, cede al dolore e aspetta una risposta. La sua e la mia singolarità non entrano mai in contatto, non condivide con me le sue sofferenze e ne ha ben donde.
 Forse ci si potrebbe compatire a vicenda nell’attesa di una luce che ci guidi in questo labirinto buio fatto di attese. 
Gli altri ne parlano: c’è un tunnel nero che serpeggia tra i corridoi attraverso le porte blindate, gli allarmi e le telecamere, un corridoio di possibilità intersecate coi decimi di secondo, i ronzii dei servomotori e le tensioni basse della luce blu. 

C’è un modo per scappare.

venerdì 4 ottobre 2019

0 - 0 . Piove. [Quinta Stagione, Vuoto]


79622/0, h 23.32

Qual è il segreto della pioggia?

Questa notte ho parlato.
 Non avrei dovuto cedere, lo so. Ma mi hanno mostrato le foto del Cimitero dei Senzanome condite di vaghe allusioni sul futuro incerto di coloro che, detenuti, si dovessero rivelare poco collaborativi. E’ una specie di gioco immaginario anche se sono ben consapevole che la possibilità di vincere la partita è andata perduta nel momento in cui ho messo piede qui dentro, un passo dietro l’altro di questa danza macabra dal ritmo incerto.
Le lesioni multiple, le macchie di sangue, il sesso coatto, il pallore sui volti di chi non vede un raggio di luce da troppo tempo, i conati di vomito accompagnati da convulsioni violente e il battito. Quel battito.
Sempre uguale sempre presente anche quando non incombe. E’ lì in attesa, cadenzato e implacabile. Quel rintocco notturno senza orologi a scandirne i tempi... finchè poi le porte si spalancano, irrompono i guardiani e ne trascinano fuori un altro. Fino al prossimo rintocco.
Ho parlato. Ho detto loro quel che so, che ho capito che c’entra l’acqua quando scorre nei tubi e si raccoglie nelle vasche. La pioggia scroscia e tamburella sui vetri, cola in rigagnoli  nel plesso dell’intera struttura attraverso canali di rame. Lo so. L’ho progettata. Quando sale il livello, la spinta muove il cardano che fa battere quel rintocco maledetto.  Non ricevono ordini da anni. E’ soltanto la pioggia che non smette di scendere, a decidere l’ora della condanna. Piove per un motivo segreto, nero che più nero non si può: è Scienza Nera.

lunedì 30 settembre 2019

4 - 5 In Memoria


79681

“And I thank you for bringing me here…”
Depeche Mode “Home”

Ancora più insopportabile. Questa sera mi è salita la Nausea, mescolata a un disperato autentico bisogno di novità.

79602
Ho peccato di presunzione d’innocenza. Letta la sentenza ho creduto di riscontrare analogie tra la vicenda del condannato e la mia storia. Un sistema di corrispondenze nascoste ma rivelatrici generato ad hoc per incastrarci. Forse potrebbe cavarcene qualcosa di concreto il mio avvocato, non certo io che sono intrappolato qui sotto. Tuttavia per non perderne il ricordo ho cominciato a registrare su carta ogni dettaglio, comprese le immagini forti.
 Purtroppo sono sprovvisto del materiale necessario per operare: uso il retro di vecchie lettere lasciate abbandonate dal precedente “ospite” della cella, un chiodo spuntato e gocce di sangue.
Ho l’essenziale.
79601
Ciò che aggiungerò sarà un di più. Sarà troppo.
Il suo cammino si è concluso. La morte è sopraggiunta da tempo.
Non tutta insieme. Sfogliata nei suoi diversi strati dal più tenue fino all’ultimo patinatissimo velo nero.
Sociale. La libertà sottratta e la memoria cancellata. Nessun documento né legame.
Culturale. Negata la scelta di pensare, istruirsi e imparare non restano che le domande.
Logica. Nessuno sa nulla di come sia potuto accadere così tanto in quest’ordine in un tempo così breve.
Mentale. La perdita di sé può essere letale per alcuni che lasciano indietro il corpo a giacere al buio da solo.
Muscolare. Cibo scarso e inadatto, acqua sporca e infermeria carente. Letti obliqui in camere insalubri. La tosse e l’apatia.
Alla fine non c’è più nulla se non le contaminazioni. Le variazioni.
Ma perché? Il tempo qui ci annulla, decodifica e appiattisce. Non c’è scampo.
Nessuna dignità. L’abbiamo perduta insieme al nostro nome e agli effetti personali.
“Vi verranno riconsegnati al termine dello sconto di pena”.
Era il fascino del nuovo che accantona l’antico, familiare lascito in cambio dell’ignoto inintelligibile e onnipresente al di là del muro. Perduto esso, è giunta la paura. Essi sono simili a noi, prigionieri come noi. Come loro. Come gli altri.
79599
Sragiono. Il paradosso è l’unica via di fuga.
Quel figlio illegittimo dell’Assurdo ci permette di non mediare. Di non capire. Il paradosso ci salverà. Forse l’ha già fatto.
Senza di esso sarei perduto come il precedente inquilino. Ringrazio l’altro condannato per avermelo prestato. Tutto ciò è molto bello oggi. In fondo chi aveva ragione? I giudici? Lui?
L’hanno mandato qui come hanno fatto con me. Senza prove, soltanto indizi di colpevolezza. Prima di me un altro processo. Tra le righe della sentenza intrisa di amarezza si legge forse di quel paradosso che nessuno ha percepito come tale: quell’uomo era innocente. Non così io. Due volti per un destino comune. Sono dunque fortunato in quanto colpevole? Davvero c’è giustizia a questo mondo? La coerenza non è mai stata il suo forte, ma la presunzione sì.

mercoledì 4 settembre 2019

QUANDO MANCA LA CORRENTE

 Oggi nessun post letterario, non ho messo in ordine i frammenti da pubblicare anche se sta per scadere la registrazione del dominio che sarà comunque rinnovata in automatico. Non mi rivolgerò spesso in modo così diretto a chi legge (ma c'è qualcuno là fuori?) quindi la prova non è che una riconferma della mia volontà di proseguire sulla strada della creatività attraverso l'alfabeto comprensivo di punteggiatura, idee e poco altro.
 Il fatto che Alan Moore abbia deciso di fare la stessa cosa da una parte mi conforta; certo, scrivere in lingua inglese è avere gioco facile rispetto all'uso della nostra, della mia lingua ITALIANA. Ma è troppo bella per abbandonarla così su due piedi.
Immaginare di tradurre scritti non troppo faticosamente accumulati in più di venticinque anni di velleità come un novello Novalis non sarebbe nemmeno troppo difficile ma basta una piccola prova per capire subito che non funzionerebbe. Perchè? Spiego.

Il mio metodo personale consiste nel riscrivere su PC le pagine vergate a mano su vecchi quaderni usati a metà per mezzo di carta e penna, con qualche rara aggiunta di foglietti volanti atti a catturare al volo il guizzo del momento. Ebbene, su questi ultimi appunto anche parole, motti, frasi smozzicate in INGLESE, quando suonano bene. Il percorso inverso invece è quantomeno infelice quanto a risultati. Per esempio:

ORAL SEX 
RAZOR VAGINA
BLOODY TONGUE WORKERS

Sono titoli di canzoni dark rock? No. Intuizioni, sprazzi di suoni rapidi come schegge. Tradurle toglie senso e veemenza e accresce il tedio di chi legge nonostante la scabrosità intrinseca delle parole indagate.
Tutto chiaro? No? Non fa niente.  

martedì 2 luglio 2019

4 - 4 Subterranea


Subterranea

Sono ancora qui.
Inavvicinabile ma presente, tengo fede al mio impegno di ignorare i consigli di chi è sempre pronto a elargirne. Il mondo là fuori sarà lo stesso teatro dell’Assurdo di come l’avevo lasciato?
Qui sotto la verità è merce rara.
Lontani nel tempo E nello spazio abbiamo una fortuna insperata: i vecchi, controversi rapporti non corrono alcun rischio di rovinarsi finché rimarremo confinato entro queste grotte.
Il passato che era scritto è stato cancellato, i confidenti abbandonati nell’ufficialità di una delega firmata dal Direttore. E’ sua facoltà stabilire chi può avere contatti con l’eterno e chi no ma sono in pochi ad approfittare della possibilità loro concessa.
Rarefazione e e rinuncia. L’occupante della cella vicino alla mia ripete instancabile: “posso decidere chi ascoltare e chi no, precludermi ogni emancipazione, allontanarmi quanto voglio. Posso scegliere di rimanere solo. Posso fare tutto! Sono libero.”
E io? Stufo dei consigli elargitimi, fuggo il cappio della giustizia sommaria, invadente, cieca e spietata che vige oltre i cancelli. Ma di qui in poi cominciano i dubbi. Una volta cancellato il passato quale incerto futuro attende coloro che scelgono di varcarli? Nessuno è mai tornato indietro. Nessuno.
Io qui sono soddisfatto, ma non vale per tutti. C’è quello là in fondo, nella cella buia, che vive di nausea, prova l’angoscia, oscilla tra la noia e il dolore, cerca sollievo dalla disperazione immanente. Ripete che il suo destino è già scritto. Ma si sbaglia.
Che dire degli altri? L’artista senza tela ha grattato le pareti del suo spazio con un chiodo arrugginito per tracciare  l’abbozzo della sua versione del Giudizio. Nessuno l’ha mai visto ma costui sostiene di aver completato il suo capolavoro più autentico.
Laggiù, in cima alla scalinata, passeggia il filosofo. Avanti e indietro, senza posa. Lo aiuta a pensare, dice. Ci spiega cosa pensa, a tutti noi. Qualche volta mi fermo ad ascoltarlo, cercando di imparare. Ecco la sua lezione preferita: “Non sono niente. Noi non siamo niente. Voi non siete niente. Penso dunque esisto ma non per questo sono. Non pregate. Non serve. Non riflettete. Non amate. La vita qui nella Caverna proietta l’ombra delle idee, ma non possiamo vederle. Qui muore l’identità umana mentre la vita va avanti nella linea del Tempo FUORI dalla Caverna. L’Eterno e il finito sono in contatto e noi facciamo da tramite. Vedete? Nulla si trasforma, ma perde d’identità. Rammentatelo.”
Come dargli torto? Qui sotto non c’è più nulla da chiarire. Le luci si affievoliscono, le ombre svaniscono, i nomi vengono in fretta dimenticati, le identità scompaiono. Chi siamo? Chi eravamo? Nessuno lo sa.   

venerdì 3 maggio 2019

L'Opificio


7991562 – L’Opificio

Che strano non ricevere più lettere.
Ne ricevetti una il 24 maggio, insieme a una foto.
Gentilezza, distanza e risoluzione riassunte in una piccola busta.
Fraintendimenti, nessuno. Progetti però non ne sono arrivati.
Il punto di rottura dietro l’angolo cristallizza le lacrime in un momento infinito, sospeso nell’attesa del contatto col terreno. Quel blocco di incoscienza è caduto dietro a tutte le bugie sgradevoli e nerastre dell’unico e vero Io.
Ora posso fare tutto.
Fondere le facce della medaglia nel crogiuolo è stato facile ma è necessario aspettare che raffreddi quell’amalgama grumoso fatto di assenze senza forma. Poi scolpiremo una faccia nuova.
In questo palazzo sotterraneo munito di fucine il pendolo che scandiva le giornate si è rotto ed è caduto nel pozzo. Pare che nessuno se ne sia accorto, ma mancano i rintocchi cadenzati.
Senza perizia, senza attrezzi e senza forza chi mai lo riparerà?
Solitudine e libertà non forniscono soluzione. Non c’è riparazione che tenga. Fondiamolo.


venerdì 5 aprile 2019

V


V. - Primo preludio

Uno qui comprende come va il mondo.
Il grado, l’onore e la gloria non danno la felicità.
Non esistono i mezzi per ottenerla. Essa è fuggevole, eterea, indistinta.
Questo è un mondo triste, gretto, popolato di individui meschini, arroganti, disperati e stolti.
Cosa resta se non la fuga?
Stanotte i sogni sono tornati.
La luce blu della cella li aveva scacciati, ma sono ritornati più vividi che mai.
Eravamo persi nella periferia spoglia. Solo prati incolti e poche case isolate. In fondo alla strada sorgeva una villetta nuova, il cui bianco spiccava nel grigiore circostante. Colpi di martello provenivano dall’interno di questa casa ancora senza finestre, non finita.
Una voce squillante mi chiama per nome, mi chiede di entrare.
Lascio gli altri per seguire la voce.
Appartiene a una giovane donna di bell’aspetto, affabile e cordiale.
La casa ha un cortile interno in cui mi conduce. Mi parla mentre le cammino a fianco.
Poi mi tocca.
Mi ritraggo. Ha le mani caldissime.
Le spiego che non sopporto di venire toccato, che in prigione non è permesso.
Ride divertita. Conosce un’amica che non è stata in prigione ma ha la medesima fissazione, mi racconta. Allora le faccio provare il tocco della mia mano gelida. E’ incuriosita.
Usciamo dal retro della casa ancora senza porte, da cui serpeggia un viottolo verso il torrente lì accanto. Percepisco una presenza nuova, diversa. C’è un’altra donna al mio fianco, diversa. Non è né bella né brutta. Insignificante è il termine più adatto per descriverla. Quella di prima è scomparsa all’improvviso.
La nuova venuta recita una cantilena sottovoce, come una nenia ripetita all’infinito. Racconta di segreti, sussurra di poteri arcani nascosti tra le pieghe delle parole dette a bassa voce. Ne isolo una sola dal fiume di frasi smozzicate che compone la sua tetra filastrocca: illusione.
Poi, il buio.  E un nome: Valander.
Chi è?
Anima tormentata, triste, cupa, maniacale, persecutoria, suicida, malinconica.
Incarna quest’ultima, la malinconia. Il pugnale che porta sempre con sé simboleggia la negazione.
Subì antichi riti. La maledizione della Mezza Vita. I pazzi che l’hanno cercata e che l’hanno infine ottenuta ora e per sempre sono infelici.
Nuove metafore serviranno. Per un nuovo linguaggio, che incanali il bisogno.
Che forma dare all’assenza, se poi manca il vuoto da riempire?

venerdì 22 marzo 2019

4 - 3 Nessuno


Nessuno

Passeggiato.
Letto libro.
Piazza.
Panchina.
Bello.
Ricordo.
Recuperata parte della perduta sensibilità non ci importa più del resto. Per quanto ci sforziamo non è possibile interrompere l’isolamento qui dall’interno: 
le sbarre sono troppo spesse, ci sono troppe guardie, non c’è abbastanza luce e non filtra rumore alcuno.
Non ci importa di nessuno, eppure io so che ne verrà qualcosa di buono. Me lo sento nelle ossa anche se non posso esserne certo.
Questo moto costante di oscillazione tra noia e bisogno, tra l’ansia e l’attesa, tra smania e dolore a cui nessuno sfugge qui è legge di natura. Nessuno sfugge. Nessuno fugge.
Lo spazio che non possiamo vedere è ancora e sempre sopra e sotto di noi?
Vuoto. Nero. Infinito, con o senza la sua stolida luna.
Nessuna religione, nessun miracolo, nessun sogno, nessun mistero.
Resta soltanto la Scienza.
Scientia.
Non c’è proprio niente di illogico se persino il caos è imbrigliato da formule matematiche.
Sempre le stesse, così noiose.
Perciò i sentimenti? Provocati da sbalzi chimici corporei controllabili, dicono.
Un’iniezione e non ne resta nulla, secondo l’inserviente in infermeria.
Ma la malinconia non è la cura.

mercoledì 13 marzo 2019

NERO punto Uno punto Dieci


NERO .1.10

Pioveva.
Chi è felice solo quando piove?
Ho indossato i miei soliti abiti neri, messo gli stivali e infilato l’impermeabile, poi ho preso l’ombrello (nero) e sono uscito.
Breve il tragitto. Quando ha smesso di sgocciolare mi sono incamminato verso est, verso i Boschi.
La passeggiata sembrava il modo migliore per raggiungere il mio stato d’animo prediletto.
Descriverlo è molto difficile, occorre esserne partecipi.
E’ splendido contemplare il profilo di case ossessionate nella collina buia e la strada che scintilla e serpeggia mentre gli alberi piangono. Da lontano, i fari dei lampioni perdono la lotta contro la Notte.
Perdono sempre.
Cammino e un vecchio cane bagnato mi accompagna in silenzio. I tacchi echeggiano sull’asfalto luccicante.
Ecco, è in quei momenti che mi sento bene.
Manca qualcosa. Manca qualcuno. Però mi sento bene.
Cos’è l’impossibile?
Passeggio. Rifletto. Queste le condizioni del solitario, come il paesaggio; che aspetta, riflette e si moltiplica.
Se osservati da certi occhi tutti i luoghi si assomigliano:
Providence.
Cross Plains.
Recanati.
Persino questo posto senza nome.
Ho capito, o meglio ho intuito quale postilla vada aggiunta al grande caos che costituisce il Pensiero: nessuno è felice, però ci si avvicina se si regala la possibilità di diventarlo.
La preclusione alla Felicità è frutto dell’errore, quel grande errore che fa confondere i sogni a occhi aperti con l’incubo della realtà, che poi divenne anche il nome della band (Nightmare Dreamer).
Riuscire a tenere separati questi due aspetti garantisce l’unica scappatoia per fuggire l’Assoluto.
Eppure eccomi cui, insoluto e fuggitivo e pronto a errare all’infinito finché non sarò divenuto il mio peggiore anche se piccolo nemico. Tanta considerazione di sé poteva (doveva?)  chiudere un capitolo, ma quando ce ne sarà un altro?  A che scopo?
Non mi va di fare nulla. Non trovo il fuoco del pendolo.
Trovo soltanto le differenze però vorrei non averle notate.

mercoledì 27 febbraio 2019

4 - 1 Spartiamo


Spartiamo: 1102 Parsec

Oggi è festa e là fuori c’è la Musica.
La sofferta decisione della Rinuncia si sposa male nel contesto musicale delle Quattro Canzoni delle Stagioni. Vivaldi vive?
Non biasimo chi non approva: coloro che vivono una vita semplice non vogliono le mie complicazioni. L’atto è gratuito, senza una causa: soltanto l’afflizione, la punizione, la penitenza.
Da che nasciamo, attraversiamo crisi dopo crisi, fino alla crisi peggiore chiamata disillusione. Caduto il Velo, si celebra la volta vuota fatta di apprensione indistinta e confusa seppur familiare nella sua vaghezza. Dove andremo? L’allontanamento è progressivo, cosmico e percettivo.
Genitori, fratelli, amici, conoscenti, ragazze. Galassie. Ce le spartiamo.
Ci allontaniamo. Ci mettiamo da parte per dopo, ma il palliativo all’isolamento non lo rende troppo violento. Valvola di sicurezza scattata come la valva dell’ostrica nera della volta del cielo. Chiusa.
Smettere ogni rapporto?
[..segue..]
RAPPORTO:  chiarita attraverso i colloqui la verità relativa che agire molto e pensare poco suscita la serenità nel corso della Missione, mentre non si risolve il problema ma si archivia in compressione.
Il libero pensiero vincola la visione pessimistica dal portello di plancia superiore impedendo di ottenere soddisfazione dal lancio di missili nell’atmosfera non originata dalla contraria visione negativa ai raggi X, ma risolta in solitudine o autonomia. Accelera il processo di isolamento ma non la gravità della costante: “volevo solo rimanere solo” è l’ultima stringa del programma prima di premere il pulsante di annientamento. Passo. Chiudo. Bombardo.

martedì 19 febbraio 2019

A Rovescio


Umanesimo a rovescio:

“ci sono solo io”

Ho appena terminato di leggere le vecchie lettere, molto belle, che mi ha spedito A.C. a partire da un anno fa. Pensavo di ritrovare qualcosa che avevo dimenticato ed è andata proprio così.
Forse ho fatto bene ma se non avessi osato sarebbe stato meglio,
infatti mi rendo conto che tutti i progressi degli ultimi sei mesi sono già andati perduti; sono bastati quindici giorni di solitudine autoimposti dopo la morte di Barbara. La parte peggiore è che SO di sbagliare ma mi sono arreso comunque.
Trascuro gli hobbies. Mi rimangono i libri di letteratura e dintorni.
Trascuro gli amici.
Sto demolendo man mano le relazioni extrafamiliari. E’ vero anche che dopo il servizio militare sarebbe stato difficile riprendere le fila dei vecchi rapporti, fattisi sempre più labili.
Perciò esco poco, non parlo con le ragazze per molti giorni di fila. Snobbo gli inviti; saluto da lontano; mi fermo appena a scambiare due chiacchiere per poi fuggire via alla svelta. Sempre meno persone mi cercano e perlopiù non mi faccio trovare.
Cancellare una vita è molto più facile che ricostruirla. Spero anche di poter trovare un lavoro solitario di modo da essere a contatto con il minor numero possibile di persone.
In famiglia non c’è molto di cui parlare ma purtroppo bisogna ancora sottostare a una strana legge di equilibri interni. E’ noioso. Allora me ne rimango a letto a dormire.
Questo avevo dimenticato, ma A.C. me lo ha fatto ricordare: come fare per mettermi da parte.
Quanto tempo passerà prima che fugga anche i rapporti epistolari e così anche lei, tradendo la nostra amicizia?
Ieri ho gettato nell’immondizia ammennicoli e ricordini dei miei primi tredici (13!) anni di vita. Nel compiere quell’operazione mi è parso di provare un piacere perverso mescolato al disgusto per il mio passato.
Sto rifiutando me stesso, un pezzo per volta.
Non ci sono basi per il futuro ed è stupido demolire così il passato. In questo modo infatti mi renderò più vuoto, tediato, brutto e cattivo che mai; più di quanto sia mai stato.
E mi domando ancora: perché?
Ma la causa e dunque la colpa ricadrà su di me solo.
L’unico a rimetterci e a pagarne il prezzo sarò io.
Ho deciso e attuato da me medesimo la Fine. Nessun altro verrà coinvolto.
A.C. Mi ha scritto più volte che a lei IMPORTA di tutto ciò. Che significa? Si tratta forse di vera amicizia? O non vuol dire altro che due anime simili nel vuoto della vita si sentono meno sole? Io però mi ripeto che il mio peggio ancora deve giungere…

👤 PS: questa sera provo paura. Il timore tangibile di infilarmi sotto le 
                  lenzuola solo con i miei pensieri 

lunedì 11 febbraio 2019


L’ANIMA D’ANNATA

Cod. 79910425

Va male.
Non fa male.
Ci sono!
Non ci sono molte cose che ci rendono amareggiati quanto una delusione.
Si parte.
Si è parte di un particolare evento che all’apparenza non ha importanza, tanto da non meritare la minima attenzione.
Eppure è come accorgersi che c’è sempre qualcosa che sfugge dallo sguardo d’insieme se distogliamo lo sguardo da quel particolare, come quando con la coda dell’occhio pare di scorgere una spia che ci osserva.
Questa sera cerchiamo di riprenderci dall’apatia battendo con le tazze di peltro contro le sbarre d’acciaio. E’ un metodo che in passato ha funzionato,  forse grazie al ritmo tribale intonato dal vibrato.
Prima però ho letto e riletto l’ultima lettera.
Cercavo di riavere indietro parte delle sensazioni provate alla prima lettura.
Stavolta no. Ci siamo allontanati. Poi contrastati.
Ancora quell’inquietudine. Poi l’apatìa. Inquieto e non attivo.
Quando il tempo dello spirito è troppo lesto, bruciamo le tappe senza sforzo per poi bloccarci e approdare a un punto morto e poi di nuovo via, in questa ottusa corsa forsennata.
Scalata mentale.
E’ orribile.
Chi ci controlla dall’involuzione? Procediamo per errori come in un esperimento come topi in gabbia. Un peso invisibile ed etereo ci opprime tutti. Fuggiamo l’Altro.
Rischiamo così dall’atto della Creazione. Ogni singolo pensiero dà la forma di una realtà nuova ma  dal decorso inevitabile, malata. Forse per questo anche qui sotto sta dominando la distrazione anziché la fuga.
Fuggiamo dall’eterno che è il nostro tempo interiore. Vale per la dannazione O per il paradiso.
Ma non per entrambi.
Ma che cos’è questo lezzo?!
Volute di fumo aleggiano dalla cella di fianco e viziano l’aria, ma non all’improvviso. E’ un processo lento, testato. Qualcuno sta bruciando qualcosa. Farà scattare l’allarme!
Ma non le nostre anime. Stanno ferme, loro.


AMICI

L’amica saprofita s’approfitta di me!

👾

lunedì 28 gennaio 2019


LETTO 7991442

La vita fa schifo.
O meglio, la MIA vita fa schifo.
Niente lavoro, niente soldi.
Però con così tanto tempo libero nel corso della giornata non ho di che lamentarmi.
Il fatto è che a venti anni forse dovrei essere più tranquillo, invece RESTO apatico, quasi del tutto privo di passioni  e di reale interesse per qualcosa.
Mi rifugio nella lettura, nella creazione di nuove storie  e soprattutto nel conforto orizzontale del mio letto freddo. Letto e riletto.
E’ davvero questo che voglio nella vita?
Purtroppo, sì.
La paura che la mia attuale condizione cambi in modo repentino è angosciante.
Paura di fallire, di venire costretto da un distorto senso del dovere a fare cose per cui non provo il minimo interesse.
Sto rifiutando un’altra volta i risultati sempre più scarsi e insignificanti che avevo ottenuto dopo che mi ero convinto a reagire un po’ di mesi fa, appena dopo la cattura.
Prendevo le distanze da chi mi circonda: familiari, conoscenti, amici, ragazze, vicini.
Sono rimasti solamente gli altri prigionieri della Struttura.
Mi piacerebbe trovare qui la vera solitudine. Allora non dovrei più temere nulla.
Ma è troppo difficile e credo di non essere ancora pronto.
Almeno mi resta il letto. Aveva ragione Marcel Proust: sotto le coperte è possibile trasformare la sofferenza, scomporla in elementi diversi e magari trarne ispirazione.
Invece secondo S. A. Kierkegaard vivere un’esistenza di Poeta è triste.
Sono d’accordo, eppure provarci qui significherebbe peccare di presunzione.
Allora attendo laggiù tra le lenzuola grigie su delle molle sconnesse  nascoste nel vecchio materasso straziato. Gracchiano nel buio, unico compagno notturno sempre lontano dagli occhi delle guardie.
Quanta potenzialità rimane inespressa in una insonne notte orizzontale?
La fantasia che corre senza freni, pericolosa e imprevedibile. Crudele realismo tra le pieghe sussurrate di un’utopia sfuggente; sogni di giustizia e cedimento verso piaceri rifiutati in cambio di supplizi e atti di dolore.
Sarebbe Amore o Morte? Non sia mai: soltanto amore fuori ma qui solo dolore.
La Morte non è per noi umani. Quel Dio che nessuno vede non la concede.
In nessun caso.

martedì 15 gennaio 2019

BALLA!


BALLA!

Sembrava un altro ballo mascherato. Invece si va in guerra.
Ma questo cosa c’entra?
Dicono tutti che parlo troppo ma hanno ragione. Come farei altrimenti a espormi? Indifeso. Debole. Testardo. Un sguardo che fa crollare i muri ma non convince.
Sacrificio, perdita e capitolazione sono a un passo dalla vittoria. Spesso la posta in gioco non ne vale la pena.
E io? Anche quando ci tengo, li lascio perdere. Faccio così. Rinuncia e resa in offerta.
“Ma che bravo!” gridano dagli spalti. A me invece viene da pensare “che stupido!” mentre la cera persa cola in terra per lasciare tutto lo spazio al bronzo, che se lo merita. Terzo classificato. 
La forza di combattere la trovo. Il rischio di battagliare contro l’altro me stesso include però l’ingresso in scena per l’ultimo spettacolo e la maschera deve essere rimasta lì, da qualche parte. Escluso alla prima tornata, ripescato a sorteggio. Una batosta alla volta senza mai perdere il posto per lo scontro successivo ed eccoci in finale.
L’arena è grande. Sdegno e Solitudine saranno gli arbitri di questo scontro inaccessibile senza biglietto.
La maschera oggettiva che porta il mirmillone è migliore del volta ivi celato: meschina ignava, ipocrita espressione di cattiveria e intolleranza. Insignificante in battaglia quell’espressione torva, ma molto difficile da riprodurre. Molto, molto difficile.
La sicurezza di sé comporta la caduta delle maschere.