domenica 1 giugno 2014

L'Eterna Lotta - Poemetto epico in dieci Stanze, 1994

L’ETERNA LOTTA
per concession del Conte

Or canterrovvi, leti ‘scoltatori,
del gran duello di cui fa memoria
da lungo tempo già la stirpe antica
de’ prodi cacciatori Tusculani
c’han sua dimora in centro a la regione
da tutti nominata Gran Ducato
ov’è ‘l Signor di tutto ciò che vive
Re Stefano Patròn et Paludato.

Io canterò de l’epica battaglia
Da cui pessarono mille e mille anni,
che la rammentan solo i vecchi saggi,
Tra Bòlkador possente, gigante de
Tempesta, signore de’ gran venti
E scuotitor de li scoscesi monti
E Garadòn, demòne venenoso,
feccia eruttata da lo basso ‘nferno.

L’uno grandioso, l’alio infido e cupo,
aveano ambedue ‘sì gran potere
che de’ mortali non tenevan conto
né se curavan de le lor faciende
bensì ne l’altrui forza perduti
erano, avuto il dominio crescente
del lampo svelto e l’inimico buio,
per cui parea ca fusse ‘l gran Diluvio.

Bòlkador potea decìder quanti piedi
Avesse da tener per sua statura
E mille figli l’agiutavan sempre
Ch’avuti avea per cinque e dieci mogli;
a suo comando i tuoni e le saette
colpivano quadunque l’opponesse
se c’era in la regione folle alquanto
da farsi contra sé nimico tanto.

Ma Goraòn, crudel losco figuro,
tenea lo gran potèr del Strale nero,
arma maligna et piena del gran dolo
strappato agli avversari suoi passati,
‘chè mai niuno guerrer ha resistito
Ma tutti son finiti tra i dannati:
l’anima dolce tolta dal bestiale
servo d'Arìman bevitor di male.

I duo colossi ergeansi di fronte,
sul Piano ch’è tra’l nostro e quel
de’ Vecchi Dèi. Lì guàtan divertiti
la lotta folle e priva di ragione;
il biondo Bòlkador cavalca prone
per non venir sbalzato da l’arcione.
Il Grande Drago Ghor avea montato
pe’ aver di parte sua lo cieco fato.

La corsa del pregevole dragone
Fermata fu da centomila  fiere;
eran nient’altro de le sue paure,
più quelle del padron, pur meno dure,
forti come l’acciar temprato a foco
da Mastro Fabro seco Benvenuto,
e bruto pare invero l demon nero
che graccia su nel ciel  col muso fiero.
E tale è la violenza de le grida,
che fora l’elmo, e pure l’armatura
ma tosto il suo destriero, aspre le fauci,
vomita vampo e flamme contra’l mostro
ch’è già percosso con i pugni duri
dei figli del Titàn; miseri e mesti,
avvelenati a morte si son persi
e 'l spirto è su salito ai cieli tersi.

Gli artigli del dimonio, ferro
Tempro del sangue di vittime fiere,
squarcian il ventre dell’immane drago:
restano soli i veri antagonisti
avvinti nella stretta micidiale
la quale fa tremar lo stesso cielo
e gronda molto sangue, nero e rosso.
Così di più non so contar né posso.

Spero d'avere voi qui dilettato
Col mio versière bieco rozzo scarno
Giacchè giungo dal volgo e da la piazza
E faccio questo solo per mangiare.
Ma grazia voi chiedete al Signor nostro,
Conte Fiorente, amico di noi bassi,
che c’ha donato festa e vino rosso
e più davver non so cantar né posso.