martedì 15 maggio 2018

Lo Stato dell'Arte


NOTE SPARSE per una BREVE RIFLESSIONE sullo STATO dell’ARTE

Cuneo, 19 novembre 2008

Il Passato è passato. [cit. NN]

Ce l’ho fatta, anche se stento ancora a crederci!

Mi è tornato un pallido barlume di lucidità creativa, quindi ecco il  primo e spero non unico, modesto risultato. Ma incominciamo:
 Dopo il sopralluogo alla Biennale, ho finalmente messo a fuoco l’impressione. Confrontando l’esperienza recente alle visite estive nei musei di Colonia e in particolare a quello dedicato all’arte moderna, mi viene quasi spontaneo notare un terribile, implacabile livellamento delle idee che sono sempre più povere perché sempre più numerose.
Mi spiego meglio: da che l’arte è stata portata per gradi fino allo stato di oggetto misterioso privo di una precisa funzione se non di appagare chi lo contempla quale prodotto/non-prodotto, essa ha concluso ogni evoluzione.
Siamo perciò alfine giunti all’apice della parabola, ossia l’opposto del grado zero. Detto opposto in mancanza di un termine più adeguato è fin troppo assimilabile al “fondo del barile”.
Dico ciò dopo aver ponderato a lungo sulle impressioni ricevute dalla sola visione e sì, mi sono limitato al solo senso della vista nonostante l’aspetto cosiddetto (abusato?) materico di gran parte delle opere create invitasse al tatto.
Ed ecco dunque il vuoto.
Milleottocento opere da oltre sessanta paesi nel mondo: una galassia variegata di forme, contenuti, materiali, colori, persino suoni per una lunghissima sfilata sfilacciata di citazioni bizzarre colte dal passato E dal presente. L’omaggio/plagio reiterato a Lucio Fontana; serie di ritratti-fotografia come pupilli di un Andy Warhol assurto a nume tutelare. Mi fermo a questi due esempi di cui ho lucida memoria e nessun dubbio di attribuzione, ma di sicuro ve n’erano molti altri, intervallati e mescolati a composizioni di un impenetrabile ermetismo autoreferenziale.
Ebbene, la varietà è tanta e tale da ricondurre a un senso di unità, come una nota vibrante che l’avvolge: arte priva di mordente, congelata in un perenne stato di pacata rassegnazione di fronte all’ineluttabile morte dell’Arte vera. E’ come contemplare un deserto sabbioso concentrandosi dapprima sul granello, poi sulla duna che li raduna, infine sul mare di rena che si estende fin oltre l’orizzonte. Infiniti minuscoli frammenti incastrati a comporre una desolata distesa priva di vita. 
L’arte imita la natura anche nel caos, inteso quale monotona massa informe nella propria perpetua mutazione, infine tendente a una quiete gelida. Radiazione fredda.
Dov’è allora la chiave di lettura, il punto di perno dell’analisi?
Persa la committenza, priva di fruibilità popolare nell’accezione più volgare del termine l’Arte semplicemente NON è.
Una volta spogliata di tutte le funzioni che ne permisero un sempre proficuo riadattamento nel corso dei secoli fino al Novecento, ha cessato di vivere.
Non c’è efficace differenza tra i risultati raggiunti da correnti e avanguardie “diverse” fin dal primo atto di decontestualizzazione operato da Marcel Duchamp ormai più di un secolo fa.
Questo modo testardo di essere originali ma criptici ad ogni costo rende quasi tutte le mostre alla stregua di noiose sarabande colorate.
Di rimando, essa ha rilanciato l’economia artistica, per mezzo della rete di gallerie che impongono prezzi da capogiro per lotti di cui ancora nessuno sa nulla, se escludiamo i salotti e i circoli di appassionati. Molti investimenti sono a perdere, richiamano curiosità ma anche dei (nemmeno troppo azzardati) parallelismi con l’attuale situazione economica mondiale.
L’amalgama di elementi così diversi assomiglia a un enorme pentolone ribollente dal contenuto così infuso di sapori contrastanti da rendere insensibile ogni palato e in cui emergono a galleggiare isolate per pochi momenti rare perle di reale creatività, gemme che poi ricadono sul fondo bruciacchiato. 
Chi è d’accordo? Il dibattito è aperto.
Post Scriptum: La disposizione dei percorsi espositivi ordita da certi assessori e curatori in un certo senso va lodata, diversamente dalla politica dei prezzi al rialzo che andrebbe invece calmierata in qualche misura anche se questo andrebbe a discapito dei collezionisti. Ma esiste una terza via, non certo nuova: ripetere l’esperienza livellante operata dal Bauhaus Gruppe tra le due guerre mondiali.
 Del resto se su milleottocento opere esposte me ne è rimasta impressa nella mente soltanto una, che mi ricordo ancora bene, per me ciò significa che era la più importante della mostra. Ma se così non fosse stato anche per la maggior parte degli altri visitatori? L’edizione di Artissima 2002 mi suscitò un’impressione molto simile a questa. Quindi non può esserci vera evoluzione a prescindere dall’introduzione di nuove tecniche. L’unione interdisciplinare tra arti e scienze applicate ad oggi fornisce o quanto meno incanala verso i risultati più promettenti nella speranza di una rinascita. L’ennesima.