venerdì 20 luglio 2018

2 - 3 Materialismo


Materialismo

Tiriamo le somme.
Una riflessione forzata somiglia ai lavori forzati che ci impongono di tanto in tanto.
Cosa abbiamo ottenuto negli ultimi giorni se non fantasticare sulle relazioni con l’Esterno?
Non va bene.
Qui mi rendo conto appena di quanto sia facile vanificare mesi di sforzi e di tentativi per un lavoro che non porta alcun risultato.
 “Lavorate su voi stessi”.
 “Lavorate la terra”.
“Lavorate di più”.
Sempre lo stesso mantra ripetuto dalla Capo-squadra. Mi ronza nelle orecchie anche di notte, fino a che non giunge il sonno ristoratore. Quando giunge.
Dieci giorni. Soltanto dieci giorni senza eventi, senza fughe e procediamo avviliti con gli scavi.
Spiriti stanchi che trascinano attrezzi consumati, che si conoscono appena. L’umore è tetro.
Mentre è probabile che fino a sette, otto mesi fa mi sarebbero passati sopra, oggigiorno si fa a gara a chi più ignora. In un certo qual senso, potrebbe forse trattarsi di un lieve miglioramento rispetto al blocco precedente.
Temo però di aver perso un po’ di vista l’obiettivo iniziale. Forse nemmeno il Direttore sa davvero cosa cerchiamo. E’ già capitato di lasciare un progetto a metà mentre eravamo sul punto di ottenere dei risultati. Poi la galleria crollava.
Ma stavolta non dipende da noi, non direttamente. C’è confusione, distrazione… e quel ronzìo. Quello strano brusìo di sottofondo, lontanissimo ma sempre presente.  Pian piano cresce. Cambia.
Per me si tratta di pericolo incombente. Come facciamo a recuperare terreno? Gli altri sono scoraggiati, forse è una conseguenza dello stress accumulato qui sotto.
Continuiamo a scavare. Scaviamo. Non so se le cose si risolveranno ma continuo a scavare. Scavo.
Un’intera galleria densa di paura di fallire. Continuiamo a fallire. Falliamo.

mercoledì 4 luglio 2018

2 - 2 Ogni 4 luglio


Ogni 4 luglio

Si avvicina la doppia rivoluzione d’estate, fatta di fuochi d’artificio. Il cielo trema di luci colorate.
La notte non è perfetta ma diventa ogni giorno più normale, più vera. Desiderabile.
Il fabbro prigioniero  sta per scolpire l’ultimo cuoricino d’oro. Scolpire una pepita d’oro non avrebbe senso, altrimenti. L’oro si fonde, si modella. Le pietre sì, vanno scolpite. Cuori di pietra? Se ne vedono.
Ma laggiù in fondo, nell’ombra in fondo al corridoio col neon bruciato, è sempre là che aspetta l’entità senza nome. Si insidia negli angoli, si fa desiderare. Alcuni dei reclusi giurano di averla vista di sfuggita, anche se solo per un instante con la coda dell’occhio. C’è.
Tutti la incontreranno, un giorno.


Venerdì l’ho rivista. Non ha salutato. Non lo fa mai. Ma era ancora più cupa di quanto ricordassi. Dicono che rivederla porti sfortuna. E solipsismo. E commiserazione.
Il fabbro ha terminato il suo piccolo lavoro. Senza microfusione. Nessun anello.
Soltanto quel cuoricino striminzito color giallo brillante, così piccolo ma così pesante. Devo rubarglielo. E’ mio. Sarà mio.
Rubarlo sarà un piccolo peccato per una grande ricompensa.