sabato 21 marzo 2020

TRACCE


TRACCE

Dall’archivio nascosto: poche tracce, appena qualche cenno. La maestrina non ne ha lasciate.
Ma l’altro articolo ritagliato da un giornale ingiallito, conservato piegato in quattro nella cartella del dossier chi può averlo cercato? "Thomas Pynchon è stato fotografato."
V.
Il Laboratorio.
Antichi pensieri si concatenano in anelli così tenui, in legami tanto flebili che trovare un filo conduttore è quasi impossibile. Perché l’archivio? Chi se ne serve?
Quante anomale e all’apparenza inutili coincidenze si stanno accavallando qua sotto, settimana dopo settimana. Qualcuno ha scambiato il nostro piccolo ambiente chiuso per un dipinto di Salvador Dalì, forse ci sta addirittura ancora lavorando. Penso che non otterrò dei buoni risultati da questi vecchi casellari di lamiera dai cassetti scorrevoli. Non c’è abbastanza tempo.
Eppure… tutti quei brutti scheletri nell’armadio si apprestano alla danza macabra del millennio.
Chissà quanto manca.

lunedì 9 marzo 2020

5032 - LA PROVA


5032 – La Prova

Silenzio. Il luogo dell’esame era vuoto e mi sentivo fuori posto. Avevo trascorso come minimo un’ora a guardarmi intorno cercando di scrutare i volti di quelle fotografie. Sguardi preoccupati o strafottenti, insinceri e di sfida. Svolsi la prova con poca convinzione, dubbioso sul risultato. Era difficile. Mi sforzavo di non pensare alla possibilità di approfittarne per fuggire e così mantenere il proposito di rimanere in isolamento. Era difficile.
Poi si aprì un pannello a scorrimento nel muro destro per lasciar entrare una splendida signorina occhialuta dallo sguardo serio e dall’aria compassata. Ritta nel suo tubino chiaro, la cartella stretta tra le braccia conserte; mi fissò con sguardo severo e indagatore. Sarebbe bello se qualcuno sorridesse un pochino almeno una volta, quaggiù.  Non accadde neanche quella volta ma grazie a quel confronto subitaneo tra il suo viso reale e i volti appiccicati alla parete retrostante come decalcomanie iperrealiste colsi il particolare che mancava: tutti quei volti erano solidali tra loro, schierati in file ordinate a sentenziare in silenzio in vece della giuria senza nome che ci aveva condannati tutti all’oblio sotterraneo. Un’aria fasulla di complicità e reciproca comprensione. Reciprocità ripetuta in quella sequenza di occhi fissi su di me dovunque mi spostassi.
Socializzavano. La dottoressa iniziò a parlare con voce atona.
“Socializzare è importante anche se non avviene in modo naturale durante la cattività” mi ripeteva.
“E’ soltanto questione di allenamento.”
Ma parlava senza guardarmi negli occhi mentre una strana rilassatezza si impadroniva di me, spiacevole e inaspettata.
La prova terminò con quel sintetico monologo senza condurre infine ad alcun risultato compiuto.
“Decideremo. Le faremo sapere.”
Poi se ne andò senza salutare, infilandosi in un altro vano a scomparsa nella parete di fianco.
Si spensero le luci e dovetti tornare in cella.