5032 – La Prova
Silenzio. Il
luogo dell’esame era vuoto e mi sentivo fuori posto. Avevo trascorso come
minimo un’ora a guardarmi intorno cercando di scrutare i volti di quelle
fotografie. Sguardi preoccupati o strafottenti, insinceri e di sfida. Svolsi la
prova con poca convinzione, dubbioso sul risultato. Era difficile. Mi sforzavo
di non pensare alla possibilità di approfittarne per fuggire e così mantenere
il proposito di rimanere in isolamento. Era difficile.
Poi si aprì
un pannello a scorrimento nel muro destro per lasciar entrare una splendida
signorina occhialuta dallo sguardo serio e dall’aria compassata. Ritta nel suo
tubino chiaro, la cartella stretta tra le braccia conserte; mi fissò con
sguardo severo e indagatore. Sarebbe bello se qualcuno sorridesse un pochino
almeno una volta, quaggiù. Non accadde
neanche quella volta ma grazie a quel confronto subitaneo tra il suo viso reale
e i volti appiccicati alla parete retrostante come decalcomanie iperrealiste colsi
il particolare che mancava: tutti quei volti erano solidali tra loro, schierati
in file ordinate a sentenziare in silenzio in vece della giuria senza nome che
ci aveva condannati tutti all’oblio sotterraneo. Un’aria fasulla di complicità
e reciproca comprensione. Reciprocità ripetuta in quella sequenza di occhi
fissi su di me dovunque mi spostassi.
Socializzavano.
La dottoressa iniziò a parlare con voce atona.
“Socializzare
è importante anche se non avviene in modo naturale durante la cattività” mi
ripeteva.
“E’ soltanto
questione di allenamento.”
Ma parlava
senza guardarmi negli occhi mentre una strana rilassatezza si impadroniva di
me, spiacevole e inaspettata.
La prova
terminò con quel sintetico monologo senza condurre infine ad alcun risultato
compiuto.
“Decideremo.
Le faremo sapere.”
Poi se ne
andò senza salutare, infilandosi in un altro vano a scomparsa nella parete di
fianco.
Si spensero
le luci e dovetti tornare in cella.
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