mercoledì 5 marzo 2014

1 - 6 La Visita

Una Visita


 “Voglio morire”, diceva.
“Ho deciso di farlo in solitudine, come tutti, ma lentamente. Senza cuore e senza consolazione, svuotato, privo di corpo e di spirito.”
Questo è l’abbattimento per anoressia, a imitazione delle sante medievali.
 “Prendete, ma non mangiatene più.”
La scelta è vasta: pasta, carne, frutta, insalata, biscotti. Ciò che giunge sotto mano all’occorrenza.
E’ la voglia di rovinarsi. Divieto di fumo. Eccesso di alcol. Per migliorare il proprio aspetto, ma solo dal collo in giù. La pelle cascante, flaccida, pallida e pustolosa detta le proporzioni con le porzioni.
L’odio per gli uomini lanciati in stupidi discorsi come verso i quattro punti cardinali della futilità.
“Ricordati di guastare le feste.
Il porco arrosto con la mela in bocca non ha ancora smesso di soffrire, povero bastardo schifoso.”
Adorazione, autostima, accettazione si sono consumate nel forno. E’ stata la magra pallida ad accenderlo, colei che senza nome percorre i sogni notturni di molti uomini, sogni a occhi aperti di ancor più numerose donne. Tutti la vedono, tutti la incontreranno, troppo presto per decidere se continuare ad esistere oppure no.

“Onora il Pane e la Madre.
Io non sono mica come loro, che berciano peggio delle scimmie. La bella gente aperta, matura, intelligente ha sempre fame. Volontari sottomessi perdono di valore col tempo, deperiscono in soli trenta anni. Li trovo brutti, perciò li isolo e li fiuto come tartufi. Gente in provetta, pronta da bere.”
 Anamnesi: il soggetto rigetta l’amicizia per eccesso di personalità. Elenco i nomi di dodici persone, tutte donne, in scrupoloso ordine alfabetico. Attende. Mi guarda, anzi mi sta fissando ormai da parecchi minuti in silenzio. Ha la bava alla bocca, gli occhi spiritati e il suo stomaco gorgoglia.
Ora però mi rendo conto che la porta è stata sbarrata.


HPL 2

HPL 2: la fede e il destino

La reazione dell’autore al mondo “meccanico”, cui cerca di sfuggire rifugiandosi nel passato, tra le pagine dei libri e nella solitudine di una camera in penombra, è spropositata ma immanente.
 Il suo sforzo si stempera in descrizioni minuziose dei particolari anatomici di numerose razze aliene, totalmente estranee all’umanità, per certi versi superiori. Per gli uomini rappresentano la malvagità, mentre un punto di vista più obiettivo ed impersonale, ne mette in rilievo la diversità. Tant’è che uomini considerati folli nell’ambito della moderna società civile ma anche intere tribù/comunità di indigeni “primitivi e senzadio” si sentono spinti ad adorare le creature provenienti da galassie lontane, questi signori di paura inconfessata che solcano gli spazi tra gli spazi. Cellule cancerose, impazzite di una società all’apparenza sotto controllo che cercano la vera malattia.
 E’ interessante notare come negli scenari descritti da HPL non si trovino vincitori di carattere decisivo. I trionfi di questi ultimi, qualora ottenuti, si riducono ad azioni dalle conseguenze insignificanti per la quasi totalità della razza umana. La FINE è evitata per un soffio, scongiurata all’ultimo momento o rimandata alla generazione successiva; tuttavia aleggia incombente, come in attesa di un cataclisma che inghiottirà il mondo senza prima averlo giudicato. Un fato avverso e terribile attenderà la fine della civiltà.
 Spingendo oltre l’esegesi dei testi, ci si rende conto che detta fine in realtà è già avvenuta e che la punizione è in atto: non annientato da forme titaniche, reso schiavo e poi divorato in un’orgia di putride masse informi , né schiacciato tra le spire di tentacoli limacciosi che frstunao l’aria al ritmo del suono orrendo di flauti stonati.
No. E’ solo stato abbandonato a se stesso, preso in un turbinio di emozioni confuse che palpitano nel cuore vuoto del Nulla. Solo. Dimenticato da Dio.
 Quelle galassie lontane che ruotano in cicli sempre più lenti attendono il ritorno di questi Altri Déi, i quali, in attesa di raccogliere le offerte che l’eternità offre loro, si tuffano nel  mare di stelle che è la loro dimora ancestrale.
 Ma per il figlio di Adamo, per la tumida scimmia glabra che balbetta la propria discendenza da scimmie antiche che ebbero la fortuna di non possedere coscienza né identita, per quest’essere meschino dalla vita tanto breve non c’è che il Nulla. Il non senso di un’esistenza in attesa del realizzarsi della promessa di molte religioni per una  “vita eterna” è una magra consolazione.
 Poiché la morte attende e non muore, mentre l’umanità nella sua interezza muore di continuo e così sarà per sempre.       

HPL 1

HPL - 1

Howard Phillip Lovecraft ha sviluppato la propria narrativa  a partire da fonti disparate, tra le quali occupano un posto di rilievo le fiabe raccolte dai fratelli Grimm e anche “Le mille e una notte”.
 Per inciso, anch’io quand’ero molto giovane lessi  entrambe le opere. Mi sono poi infatti ricomprato l’edizione super economica NCE delle belle fiabe arabe.
 HPL era appassionato di astronomia, in merito alla quale scrisse diversi articoli. Per quattro anni pubblicò un foglio periodico a essa dedicato.
 Già a sette anni legge N. Hawthorne (“Wonder Book”, “Tanglewood Tales”). In seguito si appassiona alle traduzioni in inglese dei miti classici: Bulfinch, Garth, Dryden, Addison. A quell’età incomincia a scrivere i primi racconti del soprannaturale.
 Affascinato dall’Inghilterra vittoriana, si sforza di assumerne lo stile di vita e ne adotta il datato vocabolario (Walker’s Dictionary, 1804). Il suo grande interesse per le scienze in genere è mitigato dal disprezzo per la matematica pura. La scoperta di E.A. Poe modifica la sua precoce passione per i solari miti greci. Decide comunque di cimentarsi con la poesia epica, resa attraverso caratteristici “decasillabi eroici”.
 Tuttavia, a ventun anni riprende la via della narrativa, per puntare soprattutto alla perfezione tecnica, in modo da trascrivere nel modo più fedele possibile le immagini vivide partorite dalla propria spiccata, nonché sfrenata,  immaginazione

IL DONO DELLA SINTESI

HPL ha sintetizzato attraverso una miriade di immagini più o meno accessibili (alcune delle quali, non fosse per la ridondanza di espressioni forse anche volutamente grevi , non sarebbero affatto prive di un certo gusto artistico) il senso di meraviglia dell’uomo mentre è dominato dall’angoscia. Si tratta di una visione distorta dentro e dietro ai quali non è possibile scorgere altro se non un meccanicismo implacabile, imperante, che sottrae spazio all’anima e ai sentimenti.

P1

Poesia 1:
L'Antipoeta

Resto un bastardo,
l'amore alle puttane.
Raccoglievi fiori  
laggiù nel Cimitero,
che tracima lento,
o brucia dall'interno
e brucia giù all'Inferno.
Il fuoco è freddo,
ma non si è spento ancora. 

17 dicembre 1917, ovunque


 Ma che bella esperienza, che davvero mi mancava.

Troppo tempo è passato dall’ultima festa, a chiacchierare fino a tardi davanti al camino acceso. La spontaneità non va cercata e quando giunge da sé è perfetta nella sua semplicità. Il momento è speciale fino a che non si conclude. E son contento.

1 - 5, Messaggi

Messaggi Senza Volto

N, 30 Novembre
Ancora.
Riporto su carta le mie impressioni perché per me è come compiere un esorcismo. Ma sto anche cercando di capire.
 Da quando mi trovo qui, nella Stanza dei Caduti, non riesco a fare a meno di pensare a quante persone ci siano già passate. Non ci sono letizia né conforto in simili frangenti. Per mia fortuna non ci cado spesso, altrimenti il mio animo fin troppo tenero soccomberebbe. Quasi tutte le riviste stipate nell’armadio di metallo contengono strane notizie su fatti che secondo la mia esperienza non dovrebbero essere mai accaduti.
 In certi momenti, tuttavia, uno stato di eccitazione convulsa mi pervade le membra e posso “sentire” le menti degli altri occupanti nella stanza che spaziano alla ricerca di nuove verità da approfondire al di fuori del complesso. E’ chiaro che non sono l’unico a diffidare dei vecchi notiziari ed almanacchi.  E se fosse tutto falso?
 Purtroppo per noi, la recente gita nella grande città è stata fin troppo breve, ma a conti fatti posso dire fruttuosa. Inoltre ho finalmente potuto ammirare delle vere ragazze mentre passeggiavamo in centro, visto che l’unica donna sempre presente nel complesso è il Dottore, la quale svolge i suoi molti compiti con un’efficienza tanto inumana da far dimenticare la sua natura femminile, mentre le ragazze in foto sulle riviste sono quasi… aliene. Questa sensazione dei spaesamento è condivisa dagli altri volontari, perciò non sono l’unico a sentire la mancanza di un tocco femminile in questa fredda gabbia che chiamano centro di ricerche.
 Il tono delle luci, poi, è cambiato. Il blu elettrico che scandisce i turni di notte negli ultimi tempi è stato reso più cupo e intenso. Fa venir voglia di sprofondarsi sotto le coperte fino alla sirena del mattino. Infine, ci sono le grida.
 I suoni miserabili dei mostri giù ai livelli inferiori permeano le pareti e riecheggiano in tutti i corridoi quando il resto del complesso giace nel silenzio (anche se il brusio elettrico di sottofondo non si è mai attenuato da quando sono qui, non lo definirei un vero e proprio rumore).
 Coloro che hanno scelto l’esilio sotterraneo non ci tengono a farsi vedere, ma la quantità delle urla emesse dalle loro gole scoperte non li mette di certo in imbarazzo. Certe notti urlano così a lungo che i lamenti si riducono a deboli vagiti. Allora prendo una spugna ben strizzata dopo averla intrisa d’acqua calda e mi sforzo di scrivere sul muro, al buio, le poche parole di senso compiuto che mi illudo di cogliere tra le urla. Parlano di dèi e dèe, di bellezza interiore e paure sopite, afflizioni e gesti sconsolati mentre si nascondono in quegli anfratti bui, soli.
Ma ripetono: siamo ancora,qui, fermi, in attesa.
 Sono in attesa di cosa? Di cacciare, pronte a lanciarsi su una pista fresca che le conduca fino alla carne mentale di una preda viva.
 Sensazioni fulminee mi giungono durante il dormiveglia che precede il risveglio indotto dalle sirene. Così quando senza una parola tutti noi ci alziamo e ci vestiamo per poi andare a fare colazione, certi ricordi fugaci di quelle sensazioni si attutiscono e poi sembrano svanire entro pochi minuti. Ma rimane sempre un’eco flebile, tenace come la fiamma di una candela che nonostante gli sforzi del vento resiste e non si spegne. Allora i miei elettrodi ronzano e trattengono gli impulsi mentali sotto forma di segnali elettrici. Ne catturo quanti più riesco a captarne.
La vera natura di quelle creature mi è celata dalla solitudine di ciascuna, ridotte come sono in isolamento nelle  celle inferiori, eppure con me riescono a comunicare, anche se  soltanto attraverso messaggi criptati e formule oscure.
Ma dopo tanto tempo trascorso là sotto, cosa mai saranno diventati?

 E che cosa vogliono da me?  La paziente attesa per ora è l’unica risposta.

1 - 4, Il Piano B

1996 – Gli Ultimi Giorni

Speranze, ambizioni e amor proprio sono scomparse per non tornare.
Con tutta la buona volontà non posso proprio forzare il mio animo alla ricerca di un faro segreto che mi guidi verso la pace.
Il Dr. X è una brava donna, ma è in grado di leggere nel pensiero e ha trovato il nocciolo del problema.
Il problema sono io!
Il fatto è che ho il timore di peggiorare nel corso del processo.
Forse la sofferenza di cui vociferano gli altri pazienti detenuti non sarà così intensa come vogliono farmi credere. Non mi confonderò con quella massa vociante che vaga nei corridoi.
Poche ora fa ho tentato di prendere una decisione sul da farsi; ma quando stavo per cedere, all’ultimo non mi sono arreso, opponendo un secco rifiuto. Nella stanza grigia l’altoparlante diffondeva il suono del pianto di un bambino (forse viziato).
 Ero solo. Mi si sono gonfiati gli occhi, forse per l’effetto di gas introdotto di nascosto. Perciò alla luce dei neon ho deciso di allontanarmi dalla sala. Per pochi minuti ho anche considerato l’idea di tornare in cella e farla finita. Idea poi subito accantonata: le lenzuola non sono abbastanza robuste da permettermi di calarmi giù dalle sbarre reggendo il mio peso.
Non ho ancora accumulato la determinazione necessaria per tagliare i ponti con questo posto.
Vorrei tanto mantenere la promessa fatta al Dr. A ma penso che giunti a questo punto non sia più possibile. Se rifiuto quest’ultima occasione di redenzione attraverso il Processo, nel corso del quale mi è stata offerta tutta l’assistenza possibile in termini di monitoraggio con macchinari all’avanguardia, poi non riuscirò a superare i prossimi stadi.
 Gli episodi di malinconia si fanno sempre più lunghi e frequenti. L’angoscia bussa alla porta del mio cervello sezionato, mi fa pulsare gli elettrodi ed è una sensazione dolorosa. Le cuciture prudono e tirano.
 Ma mi restano solo queste, di sensazioni, e non le voglio perdere. Ho anche considerato l’idea di interrompere la corrispondenza con il Padre delle Vette, dal momento che non riesco più a essere sincero con lui. Raccontare menzogne attraverso questo nuovo sistema di “posta elettronica” non è meno compromettente che se le pronunciassi di fronte a lui.
La scelta della vera solitudine mi attrae e mi terrorizza insieme, ma forse tra i ghiacciai troverò la pace. La bassa temperatura dovrebbe rallentare i fluidi sintetici così come quelli organici. Questo sangue finto che di notte brilla sotto la pelle smetterà di martellarmi nelle tempie.
Discrezione e disperazione sono due caratteristiche fondamentali per il buon esito della fuga ed io sono provvisto in larga misura di entrambe.

Caro Dr. DivX, mi dispiace tanto ma per quel che mi riguarda l’esperimento 96 termina qui. 

1 - 3, in cantiere

20 Novembre 1996


Il dottor X, psicologo dell’infermeria presidiaria del comando M, è stata gentile ma ha sostenuto il colloquio con fermezza e determinazione per tutta la mattinata.
 Ha offerto una sola via d’uscita, ma come si può fare? Una settimana per decidere è troppo poco.
 La bestia è rinchiusa sempre più a fondo nella tana e indurla a cominciare o a rifiutare qualsiasi cosa è un compito davvero arduo.  Solido e inaccessibile, il rifugio che va costruendosi ha pareti sempre più spesse.
 Io, invece, non ho fiatato, ma più tardi nel pomeriggio camminavo alla solita maniera, isolato e a tratti quasi di corsa, solo per poi rallentare d’improvviso preso dalla mie riflessioni sul comportamento della bestia.
 Accettare così su due piedi di certo non sarebbe consigliabile, ma il dottor X insiste sull’incapacità di migliorare e di lavorarci su da parte di una creatura del genere. Io darò la mia fiducia e tutto il mio apporto. Ci impegneremo.


  [ … Non posso farlo, non posso fidarmi. Non conosco questi esseri. Riporre fiducia in due sconosciuti, no. E’ già accaduto in passato, perciò non potrà finire peggio di allora. Chi sono costoro? Che cosa vogliono da me? Paiono affezionati l’uno verso l’altra, coinvolti in un gioco dalla natura a me oscura. Vorrebbero mantenere il contatto ancora più a lungo, ma non li lascerò entrare. Eppure non sono pronto per affrontare l’ennesima battaglia, che secondo X e M non posso vincere. Ma che ne sanno costoro? Francamente, appena avrò terminato i materiali da costruzione disponibili, dovrò per forza attingerne di nuovi. Non è rimasto molto da plasmare, ma da questi due esemplari conto di ricavare abbastanza carne da saldare almeno gli interstizi dell’ala ovest…]

1 - 1

 29 Novembre 1996

Questa sera mi sono sentito tanto stanco.
Nell’anima.
Fuggire da questo mondo sporco, povero e squallido è un’autentica faticaccia. Con la solita palla di fango ed erba davvero non c’è più niente da fare? “Il concetto dell’angosica” del pastore mancato S.A.K. rimane l’unico rifugio dalla noia del quotidiano e forse mi terrà compagnia.
Là fuori ci sono gli scheletri che dovrebbero rimanere rinchiusi nell’armadio della memoria e che invece ballano la vecchia danza macabra sulla bocca di tutti. Tanta nebbia grigia spegne gli animi, inesorabile.
 Ma io non sono mica Momo e perciò non posso farci nulla.


23 gennaio 1997
E’ accaduto l’ennesimo casino.
Mr. G. voleva uccidere Mr. E, ma sono arrivati i carabinieri a prenderlo e portarlo via prima che si potesse servire del cacciavite e così è finito tutto. Come sempre, non mi sono immischiato, anche se un po’ mi dispiace. La mia opinione sulla natura scarna del valore dei rapporti umani permane identica, sempre più compromettente. Però è stata la prima volta che ho assistito ad una scena tanto forte da così vicino. Utile, anche. Quindi, invece di chiedere in continuazione quali rischi comporta essere me stesso, verrebbe da domandarsi l’opposto: cosa si rischia a NON essere me? Credo che dovrò rifletterci ancora un po’…

Pilota 4

14 gennaio 1997

E’ andata come temevo.
 Oggi ho combinato guai, non una, bensì due volte. Pensare poco prima di aprire bocca non è mai conveniente e porta a situazioni imbarazzanti. Ormai però il danno è fatto.
 Gli incidenti verbali, mi ricordo, accadevano molto spesso. La soluzione meno impegnativa consiste quasi sempre nel mantenere un profilo basso.
Forse qualcuno confonde il comportamento con la personalità. Ma non è grave.
La personalità emergente senza forzature accoglie l’invadenza come un regalo, ma di quelli dozzinali, per cui si ringrazia per cortesia, ma poi si mette via. Invece, il rifiuto, malinconico e solipsista, genere malanimo e franca ostilità. Capisco bene il perché.

 IL CAMBIO DI STAGIONE

 Ci sono abiti per occasioni speciali; adatti a contesti particolari; consoni o meno in certo ambiente; ce ne sono per tutte le stagioni.
 Un look ricercato va sfoggiato al momento giusto. State andando fuori strada?
Provate ad esternare espressioni negative anziché interiorizzarle. Il mondo circostante reagirà. E’ vietato anche attirare l’attenzione. DVLx l’ha detto e lo ripete fino alla noia: la correzione va fatta in tempo utile, per distinguere le maschere dagli abiti e dai travestimenti. Ma chi lo fa per chi? Si è sempre almeno in due: se stessi e gli altri.
 La confusione sale quando le prime certezze decadono. Voglio uscire.

 Quando l’ultima speranza è venuta a mancare, non è stato di certo per cause naturali, giammai. La fine è giunta per mano dell’Io. Di qui in poi ogni nuova notte, noterete, sarà più lunga delle precedenti, nell’attesa del nuovo giorno più terribile.
Più ne si adopera e meno ci soddisfa. Lo sfogo caleidoscopico conduce alla rovina ma non alla dipendenza e nemmeno si tratta di fortuna. Prostitute in mutande fanno il giro e poi ancora, ma non trovano nulla. Una ricerca sistematica non serve. Un disordine sintetico messo qui in bella mostra tra parole vuote e fra le righe impedisce alla realtà di sbocciare.
La speranza manca. Tedio infinito sospeso tra la Vita e la Morte, compila la Lista dei futuri ancora da scrivere:
-       Fumo
-       Alcool
-       Sesso
-       Droga
-       Fede
-       Varie

  Tutti scartati, inutili, da depennare.

Pilota 3

Pilota 3: La Messa in Scena
11 gennaio 1997

L'eliminazione di tutte le maschere e la conseguente adozione di personalità unica comportano più di un rischio.
 Tanti, in realtà.
Servirebbe una metafora efficace.
 Se i panni sporchi si lavano in famiglia ma rimangono scomodi da indossare, quali altri abiti conserverà l'armadio?
 Prima di tutto, occorre verificare che siano della misura giusta e che rispecchino i gusti di chi li indosserà, prima che degli astanti.
 Taglia, forma, colore, look. Gusti = Moda?
Quasi mai.
 Scegliere di essere fuori moda induce scherno da parte di chi invece la segue. Risa, anche.

 - E allora?

La transizione drastica ma non casuale durerà almeno un anno. La reazione altrui permarrà. Perciò, arrendersi all'insistenza, all'evidenza, al giudizio affrettato non produce effetti di rilievo. Apriamo l'armadio. Scegliamo: brutto; noioso; pesante; scandaloso; difettato. Turpe.
 La critica capisce. Parla, si sforza, corregge, crede di rendere migliore tutto ciò che che tocca. Pietà per ognuno. Cose da donne. Ma di che essere orgogliosi, terminata l'operazione, l'atto del vestirsi.

Distinguere i capi, tuttavia, resta fondamentale. Portare il medesimo abito per troppo tempo suggerisce che lo si faccia per qualcuno. Entrambi, forse. Sé e l'Altro.

La confusione è aumentata? E' solo un effetto passeggero. Il labirinto astratto in cui si infilano concetti grigi, pachidermici alla spasmodica ricerca dell'uscita è solo il vestibolo, per lo spettacolo occorrerà aspettare.

Ma per assistere, è necessario uscire. 


Pilota 2

Pilota 2: L'Inizio

9 gennaio 1997

Non va bene.


 Il Dott. DVLx mi ha chiesto di riflettere su un altro punto: quali rischi comporterebbe provare ad assumere un'identità REALE: divenire SE STESSI anche a contatto con loro: gli ALTRI.

 Ho passeggiato per pensarci su e schiarirmi le idee in merito, invece, come al solito, il pensiero ha accelerato fino alla corsa sfrenata. Capita di sragionare, ogni volta che non riesco a portare a termine qualcosa di programmato, ben definito.
 La compulsione avanza e ne risento: sorprendersi a disegnare simmetrie immaginarie con gli oggetti più comuni, a contare serie lunghe di losanghe e di segnali, e così via. Poi controllare due, tre volte, a caccia dell'errore. Le sequenze numerate non danno tregua.

 Contare. Ricontare. Sbagliare.

Tenevo a mente due commissioni da svolgere e non ne ho condotta a buon fine neppure una. DVLx dice : pensi troppo, fa male. A ragione o a torto?

 Perciò, quali sono i rischi della propria Rivelazione, una volta calata la maschera? 

E se sotto, ci fosse un'altra maschera? "Io" interiore. Chi la vede, lo ignora o lo sa?
Parliamo di semplici rischi o di veri e propri pericoli
 "Ma non si può mica piacere a tutti!" è qul mantra che sa di luogo comune.
Certe persone sono brutte dentro, sempre. Fuori, si cambia. L'interno ha le pareti così lucide che ne riflette l'immagine come un'onda. Allora se bastano due o tre travestimenti per ingannare chi sta vicino, come mai si può scoprire quale sia il vero io? Osservando le reazioni dei vicini, forse. Come reagisce lo spettatore. Potersi svelare, mostrarsi in piena vista e nello stesso tempo adombrarsi, svanire.
 Ecco quindi il tema della fuga, del rifugio segreto.
Quando si sta male per una singola parola mal detta, per un rimprovero reale, temuto o anche solo immaginato, esporsi indifesi e deboli è pericoloso, all'inizio. 
 Uno sguardo in grado di far crollare un muro perde in uno scontro verbale. Il manrovescio giusto zittisce la bocca importuna. La mano è immobile, paralizzata dagli occhi di ghiaccio.
Sasso - carta - Forbici un gioco innocuo? Mai.

 Capitolare.
 Sacrificarsi.
 Perdere.

 La posta in gioco però non vale il piatto su cui è poggiata. Il disinteresse costa caro, la perdita meno. Anni e anni di pratica e bravura forgiano la maschera nel bronzo che si ossida. Vecchi dissapori cadono in mare, poi ripescati dalle reti del caso ricoperti di alghe e di salsedine incrostata. Forza immobile, sconfitta dimenticata e determinazione incrollabile montata su caviglie di argilla.


 Qualche volta, per sbaglio, cala la maschera dell'esclusione, modellata in quella stessa argilla cotta male. La reclusione dietro un muro di sdegno senza porte che cresce di spessore con il tempo induce la ricerca di segni tracciati chissà dove. L'inaccessibilità del presente che rimanda al passato comporta un rischio ulteriore: la scoperta oggettiva che la maschera, o una di esse, sia migliore di ciò che cela, il quale fa molto meglio a rimanere
 absconditus. 
 E' tutto molto difficile.
Se, per esempio, anziché divenire sicuri di sé col manifestarsi dell'indifferenza si potesse esporre le proprie insicurezze come ferite aperte, le paure come collezioni, i complessi come quadri miniati?
 E' un atto intimo, da consumarsi in privato, al massimo in compagnia di pochi eletti.  

Pilota 1

Bene,

dopo molti tentennamenti ho deciso di provare a inoltrarmi nella palude dei blog in italiano. 
 Non ho ancora scelto un leit motiv, quindi mi limiterò ad inserire stralci del mio vecchio diario cartaceo, lo zibaldino 1996-2012.

Saranno parole dense di fangosa depressione post-adolescenziale? Semplici sproloqui? Verità inconfutabili? Nulla di tutto ciò!

Ecco: 

quid, 27 gennaio 1997

 " Quali rischi comporterà essere ancora e per sempre se stessi? 
Il fatto puro e semplice di avere in poco tempo composto un carattere fittizio, la maschera neutra da indossare in pubblico ma non in privato; i recenti tentativi (falliti) di smettere di portarla mi han fatto ricordare PERCHE', strato dopo strato, io abbia creato la una maschera fatta così: la personalità più spontanea era confusa, facile agli sbagli e alle cosiddette brutte figure.
 Ma se ha ragione il dottore ed è soltanto una questione di allenamento, allora; quali rischi comportà servirsi di una personalità reale?

Ce ne sono quattro (4):

1) Che essa non piaccia e venga perciò respinta, corretta o infine ignorata, perchè considerata irrilevante.

2) Che essa non piaccia e basta. Senza motivo alcuno.

3) Che essa riveli la faccia, brutta e meschina, sotto la maschera.


4) Il rischio di piacere e di essere accettati; divenire per altri IL punto di riferimento, lo stimolo, la spinta. Una responsabilità che fa paura. Un rischio strano, cui non ci si abitua.