Messaggi Senza Volto
N, 30
Novembre
Ancora.
Riporto su
carta le mie impressioni perché per me è come compiere un esorcismo. Ma sto
anche cercando di capire.
Da quando mi trovo qui, nella Stanza dei Caduti,
non riesco a fare a meno di pensare a quante persone ci siano già passate. Non
ci sono letizia né conforto in simili frangenti. Per mia fortuna non ci cado
spesso, altrimenti il mio animo fin troppo tenero soccomberebbe. Quasi tutte le
riviste stipate nell’armadio di metallo contengono strane notizie su fatti che
secondo la mia esperienza non dovrebbero essere mai accaduti.
In certi momenti, tuttavia, uno stato di
eccitazione convulsa mi pervade le membra e posso “sentire” le menti degli
altri occupanti nella stanza che spaziano alla ricerca di nuove verità da
approfondire al di fuori del complesso. E’ chiaro che non sono l’unico a
diffidare dei vecchi notiziari ed almanacchi.
E se fosse tutto falso?
Purtroppo per noi, la recente gita nella
grande città è stata fin troppo breve, ma a conti fatti posso dire fruttuosa.
Inoltre ho finalmente potuto ammirare delle vere ragazze mentre passeggiavamo
in centro, visto che l’unica donna sempre presente nel complesso è il Dottore,
la quale svolge i suoi molti compiti con un’efficienza tanto inumana da far dimenticare
la sua natura femminile, mentre le ragazze in foto sulle riviste sono quasi…
aliene. Questa sensazione dei spaesamento è condivisa dagli altri volontari,
perciò non sono l’unico a sentire la mancanza di un tocco femminile in questa
fredda gabbia che chiamano centro di ricerche.
Il tono delle luci, poi, è cambiato. Il blu
elettrico che scandisce i turni di notte negli ultimi tempi è stato reso più
cupo e intenso. Fa venir voglia di sprofondarsi sotto le coperte fino alla
sirena del mattino. Infine, ci sono le grida.
I suoni miserabili dei mostri giù ai livelli
inferiori permeano le pareti e riecheggiano in tutti i corridoi quando il resto
del complesso giace nel silenzio (anche se il brusio elettrico di sottofondo
non si è mai attenuato da quando sono qui, non lo definirei un vero e proprio
rumore).
Coloro che hanno scelto l’esilio sotterraneo
non ci tengono a farsi vedere, ma la quantità delle urla emesse dalle loro gole
scoperte non li mette di certo in imbarazzo. Certe notti urlano così a lungo
che i lamenti si riducono a deboli vagiti. Allora prendo una spugna ben
strizzata dopo averla intrisa d’acqua calda e mi sforzo di scrivere sul muro,
al buio, le poche parole di senso compiuto che mi illudo di cogliere tra le
urla. Parlano di dèi e dèe, di bellezza interiore e paure sopite, afflizioni e
gesti sconsolati mentre si nascondono in quegli anfratti bui, soli.
Ma ripetono:
siamo ancora,qui, fermi, in attesa.
Sono in attesa di cosa? Di cacciare, pronte a
lanciarsi su una pista fresca che le conduca fino alla carne mentale di una
preda viva.
Sensazioni fulminee mi giungono durante il
dormiveglia che precede il risveglio indotto dalle sirene. Così quando senza
una parola tutti noi ci alziamo e ci vestiamo per poi andare a fare colazione,
certi ricordi fugaci di quelle sensazioni si attutiscono e poi sembrano svanire
entro pochi minuti. Ma rimane sempre un’eco flebile, tenace come la fiamma di
una candela che nonostante gli sforzi del vento resiste e non si spegne. Allora
i miei elettrodi ronzano e trattengono gli impulsi mentali sotto forma di
segnali elettrici. Ne catturo quanti più riesco a captarne.
La vera
natura di quelle creature mi è celata dalla solitudine di ciascuna, ridotte
come sono in isolamento nelle celle
inferiori, eppure con me riescono a comunicare, anche se soltanto attraverso messaggi criptati e
formule oscure.
Ma dopo
tanto tempo trascorso là sotto, cosa mai saranno diventati?
E che cosa vogliono da me? La paziente attesa per ora è l’unica risposta.
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