domenica 27 ottobre 2019

FILI TAGLIATI


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 - Fili Tagliati -

 La memoria tradisce.
Il miracoloso momento dialettico del paradosso continua a sfuggirmi. 
Non ricordo.
Mi sforzo ogni giorno (notte?) di coglierne l’Essenza, senza successo.
Tuttavia, ho compreso il valore assoluto del Silenzio. Eccolo là, il paradosso: avvolto di echi e di silenzi ma solo quando la nausea se ne va.
Sono solo.
Il silenzio tace mentre l’eco ripete. E’ il momento perfetto per un sentimento notturno.
Riuscire a intercettare le intuizioni per poi armonizzarne la natura suggestiva in un quadro definito dalla mia sensibilità sarebbe una base su cui lavorare.
Scrivere, ecco cos’è. Scriverlo prima di morire.
C’era Franz che lo trovava affascinante e angoscioso insieme. 
Così è anche per me.
Qui sotto non possiamo pensare in modo chiaro. C’è qualcosa nel cibo. O nell’acqua.
C’è qualcosa di sbagliato. In quanto prigionieri non abbiamo forse diritti? Gli affetti non sono consentiti, nemmeno astratti. Vengono incoraggiate le dimenticanze e le cancellazioni.
Forse sbaglio ma sento, anzi avverto il Paradosso come il messaggero occulto dell’Assurdo.
Siamo a teatro. Siamo marionette e ci hanno tagliato i fili.
Guardiamoci negli occhi per dirci addio.
“Non possiamo”.
Chi parla? 
Sono solo.
L’amico confidente è il tavolaccio che regge il materasso dove giaccio scomposto senza più forze. Un manichino abbandonato.

martedì 15 ottobre 2019

007


0 79642 - 007

Ho riletto la posta cento volte. Non ce n’era bisogno ma l’ho fatto comunque. 
E’ un furto. Non è la mia, non ne ricevo.
 Questo luogo è fuori posto, fuori dal tempo. Non vediamo altre persone. Non ci sopportiamo tra noi. Non siamo mai soli, così sorvegliati. Eppure lo siamo.
 Assomiglia a una scelta consapevole, questa della solitudine prolungata. La realtà intorno sfuma, si confonde con ricordi non miei attraverso le confidenze scritte a penna da una sconosciuta a un altro detenuto che loro malgrado ora conosco meglio di se stesso.
 Eppure è ancora il letto il mio confidente e il mio compagno di cella. L’oggetto del mio riposo avvolge la preda con le sue corde invisibili fatte di spossatezza e rassegnato torpore.
 L’immediatezza che provavo nell’agire di notte in fuga dagli inseguitori, dai cani e dalle guardie non è che un lontano ricordo, il suo posto nel mio cervello occupato da elucubrazioni sempre più sguscianti. Perché nessuno mi scrive?
 Ho davanti venti anni di vita da recluso e non un volto con il quale colloquiare quando uscirò.
 Il mio vicino di cella prega tutte le notti ma non capisco le parole. E’ un mormorio che non approda a nulla, all’apparenza senza capo né coda. Prova angoscia, si dispera, ha la nausea, cede al dolore e aspetta una risposta. La sua e la mia singolarità non entrano mai in contatto, non condivide con me le sue sofferenze e ne ha ben donde.
 Forse ci si potrebbe compatire a vicenda nell’attesa di una luce che ci guidi in questo labirinto buio fatto di attese. 
Gli altri ne parlano: c’è un tunnel nero che serpeggia tra i corridoi attraverso le porte blindate, gli allarmi e le telecamere, un corridoio di possibilità intersecate coi decimi di secondo, i ronzii dei servomotori e le tensioni basse della luce blu. 

C’è un modo per scappare.

venerdì 4 ottobre 2019

0 - 0 . Piove. [Quinta Stagione, Vuoto]


79622/0, h 23.32

Qual è il segreto della pioggia?

Questa notte ho parlato.
 Non avrei dovuto cedere, lo so. Ma mi hanno mostrato le foto del Cimitero dei Senzanome condite di vaghe allusioni sul futuro incerto di coloro che, detenuti, si dovessero rivelare poco collaborativi. E’ una specie di gioco immaginario anche se sono ben consapevole che la possibilità di vincere la partita è andata perduta nel momento in cui ho messo piede qui dentro, un passo dietro l’altro di questa danza macabra dal ritmo incerto.
Le lesioni multiple, le macchie di sangue, il sesso coatto, il pallore sui volti di chi non vede un raggio di luce da troppo tempo, i conati di vomito accompagnati da convulsioni violente e il battito. Quel battito.
Sempre uguale sempre presente anche quando non incombe. E’ lì in attesa, cadenzato e implacabile. Quel rintocco notturno senza orologi a scandirne i tempi... finchè poi le porte si spalancano, irrompono i guardiani e ne trascinano fuori un altro. Fino al prossimo rintocco.
Ho parlato. Ho detto loro quel che so, che ho capito che c’entra l’acqua quando scorre nei tubi e si raccoglie nelle vasche. La pioggia scroscia e tamburella sui vetri, cola in rigagnoli  nel plesso dell’intera struttura attraverso canali di rame. Lo so. L’ho progettata. Quando sale il livello, la spinta muove il cardano che fa battere quel rintocco maledetto.  Non ricevono ordini da anni. E’ soltanto la pioggia che non smette di scendere, a decidere l’ora della condanna. Piove per un motivo segreto, nero che più nero non si può: è Scienza Nera.