domenica 23 agosto 2015

1 - 9 - Aphàsia

1 – 9
Aphàsia

Semidee seminude custodi dell’amore.
La nostalgia dell’abbraccio dell’innocente da parte dell’altra metà del mondo.
Fa freddo. Interi volumi si sono riempiti di simili pensieri, ma è sempre la solita solfa: il tempo si ripete, la ruota che gira è la tortura.
 La cara fanciulla sospira in cerca di un po’ di calore, in assenza del quale persino il respiro diventa pesante. L’istinto di conservazione non sempre ha il sopravvento. Poteva dirsi angelico quel volto?
Una bellezza prosaica, esemplare dell’intera specie.
Occhi chiari come ghiaccio per brividi da pelle d’oca, gli abiti soltanto un ricordo.
Come resistere al gelo della cella? Ah, sì. Il ricordo. Eccolo, dunque:

 “Aphàsla fu la favorita del Sultano. L’harem contava in quei giorni ventuno tra splendide donne e docili fanciulle, tenute languide al riparo della grande tenda rosa; i morbidi capelli adagiati sui cuscini di piume rare, soffici guanciali senza suono. Soltanto pareti di filigrane dorate a separarle.
Egli per molte notti non si curò di Aphàsia, né giacque con alcuna delle mogli. I giovani del Sole circondano i suoi desideri, come una setta di eunuchi custodi dell’arte dell’amore maschile.
 Insoddisfatta, APhàsia impugnava quasi con ostinazione il delicato specchio d’argento  e lo scrigno d’alabastro avvolto di velluto a celare le boccette: olii, essenze, tinture  e profumi.
La ricerca dell’eterna giovinezza tenuta in una mano sola.
Scalza come suo solito, si alzò, facendo scivolare i veli candidi sul tappeto. Impettita, ostentava la propria nudità al centro del cerchio delle donne ancora insonnolite, mentre i fuochi dell’alba incendiavano l’orlo del promontorio per scacciare dalla valle gli ultimi refoli di gelo notturno.
Le curve sinuose, il bianco candore della pelle ancora liscia, il volto già idilliaco incorniciato in una cascata di capelli d’oro profusa a mezza schiena. Marmorea figura, perfetta in proporzioni.
Gli occhi chiarissimi che ancora e per sempre cantano una maledizione nel deserto bilanciavano labbra rosse come braci.
Paura e desiderio suscitati da questa vestale dell’amore completo risvegliavano in fretta i sensi dei guardiani ansiosi mentre le compagne stropicciavano le membra intiepidite.
Come se fosse sola, APhàsia scrutava nello specchio in cerca di un difetto qualsiasi: un livido, una ruga. Nulla.
 Ma allora, perché? Senza trovare risposta, pianse. Le lacrime fulgide come diamanti rigavano il viso deluso.  Cadde in ginocchio, mentre lo specchio, scivolato via dalle dita affusolate, nonostante tutto non si ruppe. Le braccia conserte, piangeva.
 Una mano calda le asciugò il viso. Onuni, la nuova. Appena arrivata e ancora adolescente. Abbronzata di bellezza selvaggia la avvolse in un abbraccio sincero, la pelle tiepida al tocco.
Quegli occhi così verdi lessero i suoi pensieri, mentre i capelli corvini si intrecciavano con i suoi.
Si accarezzarono. APhàsia premette le dita sui piccoli seni acerbi dell’amica; i capezzoli ritti le pungevano i palmi. Mise una mano tra le gambe snelle e sorrise.
“Amiamoci”, sussurrarono complici.
Il circolo di donne giaceva ora ipnotizzato intorno alle fanciulle avvinte, tremanti, meravigliate da estasi congiunte, i corpi aulenti. Una per una si fecero coinvolgere.
 Per prima Inda, un tempo bella seppur non certo vecchia. Poi Iconia, prorompente come sempre; Isalti e Zusi, gemelle; Bìul dell’elleboro, Kami l’orientale, la minuta Zabin, e Gadine, cieca. Rilèe, la più matura tra loro. Sarina, sfregiata in viso, Miol la scontrosa, Ohmra crudele a volte; e Sisti, sempre dolce, Alina e Iredi morbide e senza segni; Timea glabra e tatuata, Zalti melanconica. Vinna fin troppo affettuosa e infine Lalla parlatrice insidiosa. Sfuggenti come gatte, stanche come prigioniere. Amanti, tutte. Phasila fece l’amore con tutte loro, generosa come infinito fu il suo cuore in un turbine di baci dati in pegno, fatto a brani dai morsi di un calore che non si ferma mai.
Ma da quel mattino soleggiato è trascorso molto, molto tempo…”


Il neon si è acceso all’improvviso mentre i passi risuonano nel corridoio; poi c’è il rumore secco dello spioncino che scivola di lato e il rapido movimento del vassoio di peltro che gratta sul pavimento. Il cibo sopra è ancora caldo, ma nella cella fa sempre freddo.