NOTE SPARSE per una BREVE RIFLESSIONE
sullo STATO dell’ARTE
Cuneo, 19 novembre 2008
Il Passato è passato. [cit. NN]
Ce l’ho fatta, anche se stento ancora a crederci!
Mi è tornato un pallido barlume di lucidità creativa, quindi
ecco il primo e spero non unico, modesto
risultato. Ma incominciamo:
Dopo il sopralluogo
alla Biennale, ho finalmente messo a fuoco l’impressione. Confrontando
l’esperienza recente alle visite estive nei musei di Colonia e in particolare a
quello dedicato all’arte moderna, mi viene quasi spontaneo notare un terribile,
implacabile livellamento delle idee che sono sempre più povere perché sempre
più numerose.
Mi spiego meglio: da che l’arte è stata portata per gradi
fino allo stato di oggetto misterioso privo di una precisa funzione se non di
appagare chi lo contempla quale prodotto/non-prodotto, essa ha concluso ogni
evoluzione.
Siamo perciò alfine giunti all’apice della parabola, ossia
l’opposto del grado zero. Detto opposto in mancanza di un termine più adeguato è
fin troppo assimilabile al “fondo del barile”.
Dico ciò dopo aver ponderato a lungo sulle impressioni
ricevute dalla sola visione e sì, mi sono limitato al solo senso della vista
nonostante l’aspetto cosiddetto (abusato?) materico di gran parte delle opere
create invitasse al tatto.
Ed ecco dunque il vuoto.
Milleottocento opere da oltre sessanta paesi nel mondo: una
galassia variegata di forme, contenuti, materiali, colori, persino suoni per
una lunghissima sfilata sfilacciata di citazioni bizzarre colte dal passato E
dal presente. L’omaggio/plagio reiterato a Lucio Fontana; serie di
ritratti-fotografia come pupilli di un Andy Warhol assurto a nume tutelare. Mi
fermo a questi due esempi di cui ho lucida memoria e nessun dubbio di
attribuzione, ma di sicuro ve n’erano molti altri, intervallati e mescolati a
composizioni di un impenetrabile ermetismo autoreferenziale.
Ebbene, la varietà è tanta e tale da ricondurre a un senso
di unità, come una nota vibrante che l’avvolge: arte priva di mordente,
congelata in un perenne stato di pacata rassegnazione di fronte
all’ineluttabile morte dell’Arte vera. E’ come contemplare un deserto sabbioso
concentrandosi dapprima sul granello, poi sulla duna che li raduna, infine sul
mare di rena che si estende fin oltre l’orizzonte. Infiniti minuscoli frammenti
incastrati a comporre una desolata distesa priva di vita.
L’arte imita la natura anche nel caos, inteso quale monotona
massa informe nella propria perpetua mutazione, infine tendente a una quiete
gelida. Radiazione fredda.
Dov’è allora la chiave di lettura, il punto di perno
dell’analisi?
Persa la committenza, priva di fruibilità popolare
nell’accezione più volgare del termine l’Arte semplicemente NON è.
Una volta spogliata di tutte le funzioni che ne permisero un
sempre proficuo riadattamento nel corso dei secoli fino al Novecento, ha
cessato di vivere.
Non c’è efficace differenza tra i risultati raggiunti da
correnti e avanguardie “diverse” fin dal primo atto di decontestualizzazione
operato da Marcel Duchamp ormai più di un secolo fa.
Questo modo testardo di essere originali ma criptici ad ogni
costo rende quasi tutte le mostre alla stregua di noiose sarabande colorate.
Di rimando, essa ha rilanciato l’economia artistica, per
mezzo della rete di gallerie che impongono prezzi da capogiro per lotti di cui ancora
nessuno sa nulla, se escludiamo i salotti e i circoli di appassionati. Molti investimenti
sono a perdere, richiamano curiosità ma anche dei (nemmeno troppo azzardati)
parallelismi con l’attuale situazione economica mondiale.
L’amalgama di elementi così diversi assomiglia a un enorme
pentolone ribollente dal contenuto così infuso di sapori contrastanti da
rendere insensibile ogni palato e in cui emergono a galleggiare isolate per
pochi momenti rare perle di reale creatività, gemme che poi ricadono sul fondo
bruciacchiato.
Chi è d’accordo? Il dibattito è aperto.
Post Scriptum: La disposizione dei percorsi espositivi
ordita da certi assessori e curatori in un certo senso va lodata, diversamente
dalla politica dei prezzi al rialzo che andrebbe invece calmierata in qualche
misura anche se questo andrebbe a discapito dei collezionisti. Ma esiste una
terza via, non certo nuova: ripetere l’esperienza livellante operata dal
Bauhaus Gruppe tra le due guerre mondiali.
Del resto se su
milleottocento opere esposte me ne è rimasta impressa nella mente soltanto una,
che mi ricordo ancora bene, per me ciò significa che era la più importante
della mostra. Ma se così non fosse stato anche per la maggior parte degli altri
visitatori? L’edizione di Artissima 2002 mi suscitò un’impressione molto simile
a questa. Quindi non può esserci vera evoluzione a prescindere
dall’introduzione di nuove tecniche. L’unione interdisciplinare tra arti e
scienze applicate ad oggi fornisce o quanto meno incanala verso i risultati più
promettenti nella speranza di una rinascita. L’ennesima.
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