martedì 19 novembre 2019

PEGGIO


79603 - PEGGIO

Questa mattina sono stato di sopra per sostenere una volta di più le mie prove di idoneità. 
Gli esaminatori per l’ennesima volta mi hanno respinto .
 Inadatto al programma di potenziamento, dicono.
Gli esami parlano chiaro, a detta loro.
Ho trovato il responso stampato sul solito cartoncino azzurro appoggiato sulla branda al mio ritorno dal livello sei. Quel laconico messaggio pre-stampato stavolta mi ha dato da pensare. Non ci capisco nulla. Altri meno adatti sono già stati scelti. Perché io no?
Sono forse troppo presuntuoso ma stavolta sarà peggio. Idee feroci mi balenano in mente dopo le iniezioni. L’ultima crisi è stata breve, forte e intensa. La goffaggine che ne segue invece dura a lungo. E’ questo il valore dell’inferiorità, dell’inidoneità? Si misura forse dai tempi di ripresa più o meno lunghi?
I test attitudinali si ripetevano uno dopo l’altro senza una logica apparente.
Prove, domande, prove, domande.
Alleviare la tensione. Aumentare la pressione.
Meno di cento parole sono state pronunciate e nonostante la rapidità del test al termine del mio turno avevo l’affanno.
Poi sono stato accompagnato fuori dalla sala blu mentre quei volti imperturbabili mi ignoravano. Una donna e tre uomini.
L’angoscia provata, la violenza immaginata sono cresciute di lì a poco: i ricordi che svaniscono uno dopo l’altro mentre la mente ne ritocca le immagini rendendole ridondanti. Un caleidoscopio roteante di fatti e avvenimenti trascorsi, visi sconosciuti, suoni indistinti. Il cuore batte all’impazzata mentre giaccio rannicchiato nell’angolo più in penombra della camera di decompressione sensoriale dove tremo con le braccia strette intorno alle ginocchia piantate sugli occhi. Prego e aspetto con le mascelle serrate; le mani gelide contratte all’inverosimile; le nocche sbiancano fino a che lo stomaco, finalmente, smette di contorcersi e contrarsi.
Arriva il pianto, lucido e caldo. Pensavo che avrei resistito almeno stavolta e invece ho pianto a lungo senza ritegno. Versare lacrime brucianti di sostanze chimiche è doloroso e folle però aiuta a espellere in minor tempo la soluzione iniettata. Intanto il turbinio di volti è aumentato: tutte le persone che ho conosciuto mi scorrono davanti più volte, gli occhi straziati e gonfi come i miei, pronti a vomitare odio mentre verso nuove stille intrise di sale e di sangue. La tempesta biochimica una volta cominciata non si sarebbe placata tanto presto. Ma ho atteso e atteso finché alla fine non è giunto il freddo, inaugurato dalla pelle d’oca.
 Gli occhi sono ancora indolenziti, ma almeno qui ci sono di nuovo soltanto io. Basta lacrime chimiche, basta sguardi indagatori. Sanno che non mi piacciono se così accusatori e neanche la paura nell’attesa del verdetto e la noia che ne segue. Sono sguardi intuitivi, penetranti e ostinati ma necessari. Sono lì a ricordarmi quanto tempo è passato da che mi trovo qui dentro. Quante prove ho fallito. La camera di prova ha una parete di vetri oscurati dietro la quale ci deve essere qualcuno che ci osserva per decidere se candidarci al miglioramento. Le luci lassù sono sempre accese e fanno bruciare gli occhi. La prossima volta proverò a focalizzarmi sulle superfici riflettenti, anche se va detto che non sopporto gli specchi. Inoltre, i ricordi sbiadiscono e la memoria sussulta: lassù c’è una camera o una stanza?
O peggio: c’è o non c’è?

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