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“And I thank you for bringing me here…”
Depeche Mode “Home”
Ancora più
insopportabile. Questa sera mi è salita la Nausea, mescolata a un disperato
autentico bisogno di novità.
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Ho peccato
di presunzione d’innocenza. Letta la sentenza ho creduto di riscontrare analogie
tra la vicenda del condannato e la mia storia. Un sistema di corrispondenze
nascoste ma rivelatrici generato ad hoc per incastrarci. Forse potrebbe
cavarcene qualcosa di concreto il mio avvocato, non certo io che sono
intrappolato qui sotto. Tuttavia per non perderne il ricordo ho cominciato a
registrare su carta ogni dettaglio, comprese le immagini forti.
Purtroppo sono sprovvisto del materiale
necessario per operare: uso il retro di vecchie lettere lasciate abbandonate
dal precedente “ospite” della cella, un chiodo spuntato e gocce di sangue.
Ho
l’essenziale.
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Ciò che
aggiungerò sarà un di più. Sarà troppo.
Il suo
cammino si è concluso. La morte è sopraggiunta da tempo.
Non tutta
insieme. Sfogliata nei suoi diversi strati dal più tenue fino all’ultimo
patinatissimo velo nero.
Sociale. La
libertà sottratta e la memoria cancellata. Nessun documento né legame.
Culturale.
Negata la scelta di pensare, istruirsi e imparare non restano che le domande.
Logica.
Nessuno sa nulla di come sia potuto accadere così tanto in quest’ordine in un
tempo così breve.
Mentale. La
perdita di sé può essere letale per alcuni che lasciano indietro il corpo a
giacere al buio da solo.
Muscolare.
Cibo scarso e inadatto, acqua sporca e infermeria carente. Letti obliqui in camere
insalubri. La tosse e l’apatia.
Alla fine
non c’è più nulla se non le contaminazioni. Le variazioni.
Ma perché?
Il tempo qui ci annulla, decodifica e appiattisce. Non c’è scampo.
Nessuna
dignità. L’abbiamo perduta insieme al nostro nome e agli effetti personali.
“Vi verranno
riconsegnati al termine dello sconto di pena”.
Era il
fascino del nuovo che accantona l’antico, familiare lascito in cambio
dell’ignoto inintelligibile e onnipresente al di là del muro. Perduto esso, è
giunta la paura. Essi sono simili a noi, prigionieri come noi. Come loro. Come
gli altri.
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Sragiono. Il
paradosso è l’unica via di fuga.
Quel figlio
illegittimo dell’Assurdo ci permette di non mediare. Di non capire. Il
paradosso ci salverà. Forse l’ha già fatto.
Senza di
esso sarei perduto come il precedente inquilino. Ringrazio l’altro condannato
per avermelo prestato. Tutto ciò è molto bello oggi. In fondo chi aveva
ragione? I giudici? Lui?
L’hanno
mandato qui come hanno fatto con me. Senza prove, soltanto indizi di colpevolezza.
Prima di me un altro processo. Tra le righe della sentenza intrisa di amarezza
si legge forse di quel paradosso che nessuno ha percepito come tale: quell’uomo
era innocente. Non così io. Due volti per un destino comune. Sono dunque
fortunato in quanto colpevole? Davvero c’è giustizia a questo mondo? La
coerenza non è mai stata il suo forte, ma la presunzione sì.
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