Mattina
Per quaranta
giorni e quaranta notti, decretò, avrebbe sospirato di letizia. Dolci, languidi
abbracci di gioventù colmi dell’ingenuità di una qualunque ragazzina, turbata
dal futuro per paura che non accada nulla.
Come mai? L’illuso,
presuntuoso, egocentrico bastardo la insegue giorno e notte. Gentile, a volte.
Pochi gesti
male interpretati diedero inizio alla caccia segreta. Il cuore della fanciulla
triste si colmò di speranze vane, mescolate all’abitudine di fuga della preda.
E’ grave, pesante, continua.
Sciolti i
legami ogni mattina al sorgere del sole attende che la grata si sollevi. Il
cigolio dei perni, la base di cemento che vibra e il filo di luce passante
attraverso lo spioncino sono i segnali convenuti. Il primo gesto è il primo
passo, seguito da un altro e poi un altro. Cammina in principio, poi corre
mentre il cuore batte più forte e le ombre si susseguono veloci quasi a
scandire il ritmo.
Fuori batte
il sole, lo sa. Ma la vera inquietudine si nasconde nella monotonia del
percorso: un contorto sentiero di cemento tra angoli retti e luci al neon,
senza porte ne scale ne gradini. Corre e corre, un vano dopo l’altro, con l’eco
del battere dei tacchi a ricordarle l’urgenza della fuga.
Sosta.
Acqua e cibo
sul tavolino apparecchiato. La fame e la sete minacciano di aumentare fino allo
spasimo il senso di groppo allo stomaco della giovane atleta.
Ricomincia
la caccia. Poco lontano, riecheggiano i tonfi degli stivali duri del suo
aguzzino. Rapidi, precisi. Lo scatto metallico della serratura è l’incubo
ricorrente di questa settimana. Dov’è la porta? Dove? La speranza cede, sostituita
dalla paura. Arriva all’improvviso. Vorrebbe gridare, ma l’urlo le si secca in
gola, meno tenace dello squittio del topo.
Presa.
Finito. Il cacciatore vince, la palpebra cala e torna il buio.
Domani.
Domani un’altra corsa, sempre in cerca della via di fuga.
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